Troppo cattivi, la recensione: una ballata pulp alla Tarantino e maestri

Troppo cattivi, una ballata pulp

Divertente e irresistibile, Troppo cattivi (trailer) di Pierre Pierfel è un’autentica sorpresa citazionista a metà strada tra la tendenza di revisione di quel cinema d’animazione post 2000 e l’intrigante pulp squisitamente tarantiniano. Sulla scia dell’antesignano Shrek (2001) di Vicky Jenson e Andrew Adamson, ancheTroppo cattivi recupera l’umanissima missione d’integrazione dei perfidi e dei dimenticati, ovvero di quelle personalità che nelle favole sono bollate come perdute e che sono recluse allo stato brado. Questo proposito di accoglienza diventerà inevitabilmente anche il leitmotiv spirituale che nel film salverà inoltre quel mondo dalla corruzione dello spirito.

Proprio come nel film del 2001, nella storia del 2022 ritroviamo parimenti strabilianti campioni della puzza e del marcio. Questi cattivissimi protagonisti sono tanto i nobilissimi devianti che percorreranno le strade scoscese dell’acquisizione di un’identità e della solidarietà attraverso il dialogo articolato con la loro realtà ospitante, quanto gli emblematici catalizzatori di un processo di rinascita che abbraccia sia il mondo che i suoi strani ed eccentrici abitanti. Mr. Wolf (Sam Rockwell), protagonista indiscusso di Troppo cattivi, non è dunque così diverso dall’orco Shrek poiché entrambi, una volta ultimate le loro avventure, stimoleranno cambiamenti largamente positivi nei loro universi.

La favola sovversiva di Troppo cattivi colora inoltre i suoi immancabili personaggi e la sua frizzantissima sceneggiatura con una variegata tavolozza di colori cinematografici che genera un dipinto intertestuale dal sostrato postmoderno: si identificano le più evidenti tinte del primissimo cinema di Quentin Tarantino, le pennellate più velate di Quei bravi ragazzi (1990) di Martin Scorsese e gli schizzi da concerto rock del più giovane Edgar Wright. Il risultato è un parco giochi energicamente pop che dichiara guerra agli svolgimenti e alle risoluzioni della favola classica, tutta principi belli contro mostri orripilanti.

Le micce di questa sorprendente dinamite intertestuale sono la poetica redenzione dei freak e quei cinema anni settanta novanta e duemila, all’anagrafe (i primi due) forse un po’ lontani ma qui mai sentiti così emotivamente vicini come in un qualsiasi altro cartone animato. La commistione esplosiva della bibliografia di Troppo cattivi si rivela fin dal suo prologo fieramente tarantiniano e si fa sempre più intima e figlia man mano che procediamo nella visione. La narrazione di Pierfel comincia infatti dove il maestro del pulp ci ha permesso di incontrare in quel famosissimo suo film del 1994 gli imbranati Zucchino e Coniglietta e dove, al tempo stesso, ci ha lasciati quando i bad motherfuckers di Jules e Vincent se la sono svignata.

Come infatti la “caffetteria pidocchiosa” di Quentin Tarantino apriva le porte ad un logorroico tripudio di contaminazioni di generi e film disparati nel suo immortale capolavoro del 1994, allo stesso modo la tavola calda di Pierre Pierfel spiana la strada ad una nuova e insaziabile overture di situazioni sempre originali e spiazzanti nella sua radiosa favola animata del 2022. In più, dal punto di vista registico, il totale di Tim Roth e Amanda Plummer seduti al tavolo a chiacchierare sulle regole del colpo perfetto diventa ora il totale di Sam Rockwell e Marc Maron che, “vestiti” da Wolf e Snake, dibattono sul gusto saporito dei porcellini d’india; segue un bellissimo movimento di macchina che, non staccandosi mai dai due brutti criminali, dichiara la magnetica intesa da buddy movie dei protagonisti. Se quindi in generale Troppo cattivi dichiara l’immancabile amore per un gigante della cinematografia, nel particolare l’opera di Pierfel è la figlia adolescente di Pulp Fiction che non manca di curiosare in un’oasi ormonale ad ampissimo raggio.

Troppo cattivi, una ballata pulp

Si respirano tra i tanti Le iene (1992) di Quentin Tarantino, specialmente quando nominiamo i rapinatori Mr. Wolf Mr. Snake Ms. Tarantola (Awkwafina) Mr. Shark (Craig Robinson) e Mr. Piranha (Anthony Ramos) e quando li vediamo indossare gli occhiali da sole dei Blues Brothers. Avvertiamo i pericolosissimi screzi al testosterone dei goodfellas di Martin Scorsese che ovviamente in questo cartone animato trovano una risoluzione comica e leggera; Mr. Snake ad esempio innervosisce Mr. Shark (un po’ come Billy Batts fa con Tommy DeVito in Quei bravi ragazzi), perché il primo finisce sempre col mangiare il delizioso gelato al calippo del secondo. Sono poi ravvisabili praticamente in ogni momento della sceneggiatura di Troppo cattivi i ritmi frenetici e i risvolti comici, spesso anche demenziali, provenienti direttamente da Baby Driver (2017), dalla Trilogia del cornetto (2004, 2007, 2013) e da Scott Pilgrim vs. the World (2010) di Edgar Wright – Mr. Wolf corre spedito e pulito a bordo della sua macchina proprio come il personaggio di Ansel Elgort nel film di Wright del 2017.

Oltre a lasciar emergere il suo meraviglioso sostrato intertestuale, Troppo cattivi fa in modo che un tema rilevante come la responsabilizzazione degli adulti continui a germogliare sul vastissimo terreno dell’animazione, riuscendo ad aprire anche ulteriori possibilità rispetto al passato. La banda messa in piedi da Pierfel rimane superficialmente una gang di infidi criminali che farebbe di tutto pur di rubare il delfino d’oro di una mostra di beneficenza, ma quella del regista Pierfel e dello sceneggiatore Etan Cohen è più specificamente la fanteria dei diversi che tanto desidera riscatto e riconoscimento. Wolf, Snake, Tarantola, Shark e Piranha sono infatti giudicati soltanto come i sanguinosi predatori antropomorfi, su cui pesa il pregiudizio sia degli umani che di quegli animali notoriamente più mansueti. Sarà proprio grazie a questo punto che la favola del regista si farà poetica e geniale.

Il fallimento di un colpo e il conseguente inserimento della banda in un programma di rieducazione sono solo il pretesto per raccontare la nascita di un desiderio che ci fa scodinzolare la coda per l’emozione e ci fa quindi sentire vivi. Questo sentimento inserisce finalmente i protagonisti nelle contraddizioni della vita e i cattivi possono così finalmente uscire dalle caselle loro prefissate. Pierfel, Cohen e Aaron Blabey (lo scrittore dell’omonima graphic novel da cui è tratto il film) costruiscono una storia dalle profonde radici social-politiche, in cui è possibile ravvisare gli scottanti temi contemporanei del classismo e (più avanti nella narrazione) della corruzione etica. Il lavoro di riabilitazione a cui saranno sottoposti i cattivissimi protagonisti è nobile proposito d’integrazione dell’Altro che tuttavia rischia sempre di far sprofondare quest’ultimo nella negazione forzata di chi è realmente.

In merito a quest’ultimo punto, vi è una scena particolarmente significativa caratterizzata da un cupissimo umorismo di fondo: indottrinati dal filantropico Rupert Marmellata (Richard Ayoade), la banda è incaricata di liberare una tribù di porcellini d’India rinchiusa nel laboratorio Ogm Sunnyside; una volta entrati, Mr. Snake ha la brillante idea di “scortare” gli adorabili porcellini “caricandoli” nel suo stomaco; la banda ricorderà al famelico serpente che l’obiettivo è salvare e non mangiare come al loro solito. Fortunatamente la scena ha una divertente risoluzione!

L’ultimo momento descritto è la chiave di volta del film che porta alla domanda cruciale “può un predatore (un serpente in questo caso) realmente cambiare?”. In tal senso l’intera sceneggiatura di Troppo cattivi sembra scritta col proposito di inserire la banda in situazioni che vogliono lasciar riflettere lo spettatore su problematiche attuali; tuttavia essa è anche simbolicamente la storia d’inserimento nel mondo di adulti non troppo cresciuti. L’unione con la donna qui, a tal proposito, gioca il ruolo potente di immettere l’uomo-bambino in un percorso di responsabilizzazione e autonomia.

Troppo cattivi, una ballata pulp

Come fondamentalmente accadeva in Cattivissimo me 2 (2013) di Pierre Coffin e Chris Renaud, anche in Troppo cattivi la parte femminile indirizza quella maschile verso una certa maturità seppur senza rinunciare al gioco e allo scherzo – ad esempio, Mr. Wolf e Diane Foxington (Zazie Beetz) si punzecchiano a vicenda e si esibiscono sulla pista da ballo con la stessa attrazione e confidenza di Vincent Vega e Mia Wallace di Pulp Fiction. La donna qui è anche colei che procede ad una necessaria radiografia del cattivo, stimolando ancora l’uomo a percorrere il tragitto della consapevolezza di se stesso; Diane Foxington sottolineerà infatti quanto i soliti cattivoni soffrano di eccessi di narcisismo, negazione, autocommiserazione e carenza emozionale che li spingono a compiere gesti anti-sociali.

Troppo cattivi di Pierre Pierfel è un tour de force cinefilo e di ordinaria follia, animato da una frizzante energia alla Tarantino e maestri. Proprio come molti suoi validissimi colleghi, il film scende a livello delle classi più basse e ci racconta il percorso di rinascita non scontato di uno scapestrato gruppo di adulti. Sotto il punto di vista della critica social-politica Troppo cattivi ricorda moltissimo Zootropolis (2016) di Rich Moore e Byron Howard; anche in quest’ultimo ritroviamo la valente discussione sul classismo prede e predatori/ladri e civili.

Tuttavia, forse più di tutti, il film di Pierfel si avvicina maggiormente a Shrek di Vicky Jenson e Andrew Adamson, in cui ritroviamo letteralmente un nessuno che non può tirarsi indietro dalla propria storia. L’inside-out ottenuto capovolge i ruoli classici delle favole e lascia emergere soprattutto il coraggio dei reietti. In conclusione, Troppo cattivi ripercorre i passi del maestro Quentin Tarantino e dà vita ad una straordinaria ballata pulp che pulsa forte come il cuore di un appassionato ad un concerto rock.

Il film è nelle sale dal 31 marzo.

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