The Old Oak, la recensione: la miseria che divide e che unisce

the old oak, la recensione del film

Il film inizia con delle foto in bianco e nero. Successivamente scopriamo che a scattarle è uno tra i personaggi principali della storia. Con la sua macchina fotografica cerca di imporre il proprio sguardo in un mondo in cui non sembra essere concepito il suo punto di vista. The Old Oak (trailer) è un film scritto da Paul Laverty e diretto da Ken Loach.

Contea di Durham, Inghilterra. In una comunità impoverita e disillusa, l’arrivo di alcuni profughi siriani porta gli abitanti del posto a confrontarsi con una nuova realtà: devono condividere il loro spazio, la loro vita con dei nuovi ospiti. TJ Ballantyne (Dave Turner), gestore dello storico pub del paese, The Old Oak, si ritrova a stringere un intenso rapporto di sincero affetto e fiducia con Yara (Ebla Mari), una giovane donna siriana arrivata da poco in paese. Ma, non tutti i cittadini assumeranno lo stesso atteggiamento di apertura dimostrato dal protagonista nell’accogliere i rifugiati.

«Cerchiamo tutti un capro espiatorio quando le cose vanno male». Questa frase viene pronunciata da uno dei personaggi del film ed esprime appieno l’attitudine di alcuni abitanti di Durham. Gli stessi vedono i nuovi arrivati come minacce, come persone che prendono per togliere a loro. Il senso del “prima la nostra gente” qui è chiaro più che mai. Questo razzismo viene urlato nel film, ma non solo, è nei momenti in cui si percepisce in maniera sottile che appare ingombrante e divisorio più che mai. Un nucleo sociale radicato nella propria terra alla quale si aggrappa con le unghie, che divora persone che hanno perso tutto e che tentano di far fiorire piccoli germogli in un nuovo giardino. Un cane più grande che divora un cane più piccolo. 

Ma non tutti gli abitanti del paese inglese si dimostrano così. La sorpresa è scoprire come a poco a poco appaia sempre più possibile un’unione, una vicinanza, una fusione di due culture distinte, capace di creare una comunità. Comunità come forza, comunità come abbraccio caldo in cui poter riscoprirsi fragili. Ad unire sempre di più queste persone sarà la realizzazione che la miseria è inclemente ma è la stessa, è condivisa. Nel film verrà affermato che «la speranza è oscena», eppure sembra l’unica strada possibile in una vita in cui la resa non viene presa in considerazione. I rifugiati si dimostrano così una forza vitale, un guizzo di energia che accende una piccola società prima pronta a spegnersi e a rassegnarsi.

The Old Oak, la recensione del film

Anche in The Old Oak Loach si dimostra un regista socialmente impegnato, ed in questo impegno consapevole. La forte impronta politica, ed appunto sociale, ancora una volta, permette ai suoi film di esprimersi in maniera incisiva pur facendosi portatori di una sobrietà estetica. I personaggi che Loach costruisce non hanno bisogno di orpelli registici, non serve loro la luce o le inquadrature giuste che li caratterizzino, vivono, con fatica, si trascinano nelle loro esistenze, e basta questo. Risultano estremamente interessanti con le loro “appariscenti” debolezze, le loro conversazioni verbose in cui si mettono a nudo gli uni con gli altri e le loro ombre negli occhi che fanno capolino di tanto in tanto.

La narrazione spinge, in maniera delicata e al tempo stesso prepotente, verso una presa di coscienza collettiva. Che sia la Siria, il Marocco, l’Ucraina, il senso è lo stesso. La storia che Loach racconta non è una storia a noi lontana, è una storia che viviamo nella nostra quotidianità, è una storia che dovrebbe renderci consapevoli. Che siano gli uomini che si riuniscono al bar e che si spendono in tutta una serie di luoghi comuni su cui “ognuno deve restarsene a casa propria”, oppure i bambini che si sentono traditi nel vedere come la carità non venga fatta a loro ma a qualcun altro, proveniente da un altro paese, lo spettatore riconosce questi personaggi, gli sono terribilmente familiari.

The Old Oak è un film che genuinamente riflette sul senso di comunità e su come esso possa essere costruito. Anche in mezzo alle sventure, anche in mezzo alla morte e alla povertà dilagante, anche (e soprattutto) se si è diversi.

Dal 16 novembre al cinema.

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