The Boys, la recensione della terza stagione su Amazon Prime Video

The Boys recensione serie TV Amazon Prime

Era una scommessa che sulla carta poteva sembrare azzardata, quella fatta da Amazon Prime Video ormai tre anni fa al debutto di The Boys, con un obiettivo alquanto ambizioso: sovvertire le regole della televisione (da una piattaforma streaming) con un racconto crudo, chiassoso, scorretto e sempre intento a oltrepassare i limiti del visibile. Dopo aver centrato l’obiettivo con le prime due stagioni, si può dire che la terza (trailer) da poco conclusa abbia definitivamente consacrato The Boys come uno dei migliori contenuti seriali attualmente in circolazione, nonché ormai prodotto di punta di casa Amazon.

Ma riprendiamo per prima cosa le fila della narrazione. La seconda stagione di The Boys si era conclusa in una situazione di calma apparente: il nostro buon Hughie (Jack Quaid) finalmente in coppia con Starlight (Erin Moriarty), quei ragazzacci dei The Boys “legalizzati” e al soldo del governo, il cattivone Patriota (Antony Starr) tenuto sotto scacco e costretto a fare il bravo bambino. Fin dalla prima puntata, questa terza stagione fa esplodere (letteralmente, a giudicare dalla prima puntata) l’iniziale status di quiete moltiplicando se possibile l’azione e complicando le problematiche affrontate dai protagonisti, anche grazie all’introduzione di un nuovo villain, Soldier Boy (Jensen Ackles), quale mitico eroe del passato e predecessore di Patriota.

L’aspetto su cui questa terza stagione preme maggiormente l’acceleratore è la riflessione sulla corruttibilità della natura umana. Ogni personaggio dimostra la propria fallacia ogniqualvolta in contatto con l’elemento che da sempre corrompe l’uomo: il potere. Persone comuni o supereroi, The Boys presenta esseri umani alle prese con la propria natura più marcia, tanto più negativa quanto più in una posizione di potere rispetto agli altri. Ed è proprio questo che rivela la possibilità, introdotta in questa stagione, che anche i personaggi umani ottengano dei superpoteri: la loro incapacità di distinguere “da che parte stare”, nell’ambito di due fazioni tanto sfumate quanto la linea che separa il Bene dal Male.

In fondo questo scontro tra Bene e Male rappresenta il dualismo centrale della storia, quello tra William Butcher (Karl Urban) e Patriota. Peccato che, appunto, i due personaggi non siano poi tanto diversi come credono, o vogliono credere, di essere. Perché in fondo Butcher e Patriota non sono altro che le due facce della stessa medaglia: entrambi condividono una leadership le cui redini vengono messe in discussione; entrambi covano una rabbia e una aggressività da sfogare; allo stesso modo sono padri dello stesso figlio, ma entrambi finiscono per rappresentare ai suoi occhi una delusione. Ma, ancor più nel profondo, Butcher e Patriota condividono un arco di trasformazione molto simile, che dopo una prima fase di lotta interiore li porta ad abbracciare il proprio lato più marcio. Entrambi possiedono una personalità scissa, in una dualità che viene visivamente manifestata: due scene in cui viene messo a contrasto il lato infantile e più puro dei due personaggi con quello corrotto e meschino, il quale finisce per avere la meglio.

Tra i due litiganti, il terzo assume una funzione a se stante. Funzione che, a ben guardare, costituisce l’anima stessa della serie, nonché ciò che la distingue maggiormente dagli altri prodotti di genere. Perché tra scene ipersanguinolente, linguaggio volgare e trovate sadisticamente geniali quanto folli e sconcertanti (che di per sé fanno gridare lo spettatore “Ne voglio ancora!”), la qualità maggiore di The Boys è la sua capacità di riflettere sulla società contemporanea. La sua intelligenza sta proprio nell’essere estremamente cosciente del panorama mediale e dei meccanismi dell’industria culturale odierna, nonché del suo stesso esserne parte. Ed è questo costante farsi specchio di tali meccanismi ad essere la forma più riuscita della serie. Perché The Boys, ancor prima che una satira cruenta, ancor prima che una metafora superomistica, rappresenta la critica ad una società, come quella americana, messa a nudo attraverso ciò che le riesce meglio: fare spettacolo.

È in questo senso che bisogna leggere i riferimenti della terza stagione alla cultura e all’attualità: da Starlight che lotta per riconoscere la propria posizione di potere in quanto, e nonostante, donna, sia come supereroina che nella vita relazionale; a A-Train (Jessie Usher) intento ad operare un rebrand in cerca di nuova popolarità, da trovare ergendosi ad improvviso paladino dei diritti afroamericani (“Black Lives Matter è il mio hashtag preferito”). Ma tra tutti, il già citato Soldier Boy. Alterego di Capitan America come Patriota lo è di Superman, il nuovo personaggio è l’incarnazione della mascolinità tossica, degli ideali tradizionali e della figura dell’uomo solo al comando. In poche parole, Soldier Boy è l’immagine dell’America dei bei tempi andati. Una mela marcia venduta come l’emblema della perfezione, il mito americano che ancora una volta rivela la sua natura degenere. Ed è appunto nella figura di questo personaggio che The Boys radicalizza il proprio intento: perché ciò che la serie mette davvero sul piatto, sotto le mentite spoglie di un attacco alla concorrenza (Marvel), è una feroce e astuta critica alla società contemporanea, corrosa da un costante bisogno di cibarsi di mitologie e fantasmi per tenere in piedi le sue fragili fondamenta.

La terza stagione di The Boys è disponibile su Amazon Prime Video.

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