Sweet Tooth, recensione della serie originale Netflix

Sweet Tooth su Netflix

L’umanità ha recentemente attraversato una fase terribile che ancora non si è conclusa. Ciò che c’è di più significativo, da un punto di vista storico-sociale, è che questo evento ha, per la prima volta dopo tanto tempo, coinvolto davvero tutti. Oriente e occidente, paesi più e meno sviluppati: tutti si sono ritrovati, inaspettatamente, a condividere una prospettiva comune, come accade sempre più di rado; e forse è questo che, più di tutto, ha influito sulla portata di tale evento sull’immaginario collettivo. Sweet Tooth (trailer) si presenta, quindi, come una rielaborazione fantasy del tempo che stiamo vivendo.

Il soggetto, tratto da un fumetto, dev’essere diventato interessante per Netflix alla luce dell’argomento che tratta: la pandemia. In un mondo devastato da un virus incurabile, cominciano a nascere bambini ibridi. Metà umani e metà animali, queste creature vengono collegate alle manifestazioni del virus e, mentre il mondo precipita verso un imprecisato scenario post-apocalittico, sono braccate come capro espiatorio.

La premessa fa da sfondo alla storia di Gus, bambino-cervo che, nascosto dal mondo, perde il padre. Si metterà allora in viaggio per arrivare in Colorado e ritrovare la madre, mai conosciuta. Durante il viaggio, com’è prevedibile, conoscerà una serie di personaggi che diventeranno alleati o nemici e che lo accompagneranno verso un arco narrativo che, dopo un paio di puntate, si può già indovinare senza nessuna fatica.

Con una conoscenza pur superficiale di teoria narrativa, si è già nella posizione di capire perfettamente cosa accadrà. O meglio: cosa è necessario che accada. E che puntualmente accade, per portare la trama in una data direzione. E il problema è proprio che è incredibilmente semplice individuare questa direzione. Ogni colpo di scena è didascalico, ogni decisione è già annunciata, perfino quelle che sembrano troppo idiote.

I personaggi non esistono se non come ingranaggi atti a muovere una trama già vista. I tropi più conosciuti non sembrano portare a nulla di nuovo. Sembrano anzi essere presenti per via del genere, più che per reali necessità di scrittura. Il risultato è che a un’idea iniziale oggi poco interessante si unisce una scrittura fastidiosamente didascalica, un calco svogliato dei più classici manuali di sceneggiatura.

È più che possibile che nel fumetto di Sweet Tooth, scritto dieci anni fa, le stesse tematiche che allora erano certo meno inflazionate, fossero trattate in maniera molto più interessante. Purtroppo, ciò a cui assistiamo è il classico prodotto Netflix: una serie leggera, per famiglie, identica a molte altre. Una serie che non ha nulla da offrire se non la propria prevedibile, rassicurante mediocrità.

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