Il condominio dei cuori infranti, la recensione del film su Amazon Prime Video

Su Amazon Prime Video: Il condominio dei cuori infranti

Il condominio dei cuori infranti (trailer), quarto lungometraggio di Samuel Benchetrit, basato sulla sua autobiografia Les Chroniques de l’Asphalte, è la storia di un incontro tra solitudini, tenera e minimalista, che rimarca l’importanza dell’affetto e della condivisione.

All’interno di un condominio si intersecano tre storie: Sterkowitz (Gustave Kervern) è costretto a stare sulla sedia a rotelle dopo aver fatto troppa ginnastica, ma non può usare l’ascensore. La notte esce e si reca all’ospedale per prendere qualcosa da mangiare ai distributori automatici, dove incontra un’infermiera (Valeria Bruni Tedeschi); il giovane Carly (Jules Benchetrit) vive solo nel suo appartamento e fa la conoscenza di Jeanne (Isabelle Huppert), attrice in crisi, che non riesce ad accettare il tempo che passa e con problemi di alcool; l’astronauta americano John McKenzie (Michael Pitt) attera con la navicella sul tetto del condominio. Verrà ospitato da Madame Hamalia (Tassadit Mandi), che ha il figlio in prigione e si prenderà cura di lui fino a quando  potrà essere riportato in america

La solitudine dei personaggi emerge sin dalle prime scene, quando Sternkowitz si rifiuta di pagare per sostituire l’ascensore del condominio perché abita al primo piano. La decisione presa è che lui non potrà usare l’ascensore. Il campo/controcampo che segue mostra da un lato gli  abitanti dell’edificio, tutti insieme; dall’altro Sternkowitz, solo sul divano, in posizione decentrata, sulla sinistra. A Benchetrit non interessa fornire informazioni sul passato dei personaggi sulle loro esperienze e su cosa li abbia portati a essere soli, perché non è questo ciò che realmente conta. Ad essere importante è invece la loro condizione attuale, il loro essere morti-viventi, che più che vivere la vita sopravvivono. Persone alienate, in un mondo alienante, alla ricerca di affetto e amore, incapaci di comunicare e di rapportarsi con la realtà.

Basti considerare l’astronauta americano, che rappresenta l’estremizzazione di questa condizione: vive nello spazio, da solo e dunque senza alcun rapporto con gli altri. Si ritrova a essere ospitato da una donna algerina (che consente al regista anche di prendersi gioco dei pregiudizi, in particolare quando la NASA chiede a McKenzie se è stato rapito, e poi a Madame Hamida se nutre sentimenti anti-americani), che parla in un’altra lingua (una situazione che richiama alla mente il cinema di Jarmusch). Proverà poi a riparare un lavandino rotto senza riuscirci, lui, uomo dello spazio che dovrebbe conoscere le tecnologie più sofisticate.

Eppure la comunicazione non è del tutto impossibile, a patto che sia inizialmente mediata. Sono il cinema e la soap-opera a farsi garanti di questa mediazione che consente una qualche forma di comunicazione e di avvicinamento all’altro: Charly e Jeanne si avvicinano grazie alla visione del film La donna senza braccia (in realtà La merlettaia di Claude Goretta), dove quest’ultima figura da protagonista; McKenzie e Hamida vedono insieme Beautiful, ed è esilarante la sequenza che vede il primo spoilerare come andranno a finire le vicende dei vari personaggi alla seconda, che risponde con uno sconsolato: “non la guardo più”. Ma ancor di più il cinema serve anche da tramite per lo spettatore, per comprendere quali siano i sogni e i desideri dei personaggi. È il caso di Stemkovitz che guarda I ponti di Madison County, che rendono evidente fin da subito il suo sogno di una storia d’amore. E poco dopo, quando andrà all’ospedale e incontrerà l’infermiera, le dirà di essere un fotografo che lavora per il National Geographic. Quelli delineati da Benchetrit sono personaggi profondamente umani, descritti sia nella loro capacità di aiutare l’altro, sia nei loro piccoli egoismi e debolezze, come Stemkowitz che sta per prendere l’ascensore, ma appena si accorge che qualcuno sta arrivando si allontana, per paura di essere scoperto; o Jeanne che sembra soffrire di alcolismo. Personaggi che non rinunciano ai loro sogni e che si affidano al potere dell’immaginazione: è il caso del suono di cui nessuno conosce la fonte (ma a saperlo sarà lo spettatore, nell’ultima inquadratura) e a cui ognuno attribuisce un significato diverso a seconda della propria condizione.

Per rendere tutto questo, Benchetrit adotta una stile minimalista, ironico, di un’ironia malinconica e a tratti surreale che ricorda vagamente quella del cinema di Roy Andersson. E offre il ritratto di una banlieu cupa, grigia (colore dominante nel film) e abbandonata, dove si respira odore di morte, ma che non è più solo luogo di scontro o di violenza, bensì anche d’affetto e amore. Una banlieu che si configura prima di tutto come luogo della memoria: non è infatti chiaro quando la vicenda sia ambientata data la compresenza di oggetti legati a tempi diversi (televisori vecchi e nuovi, walkman, un poster di Die Hard, una macchina fotografica analogica). Si tratta di una scelta volontaria del regista che riconosce l’influenza che gli anni ’80 hanno avuto  sulla periferia, e che considera quest’ultima come luogo dominato da un forte senso di solidarietà.

Con Il condominio dei cuori infranti, presentato alla 68esima edizione del Festival di Cannes nella sezione Proiezioni Speciali, e disponibile sulla piattaforma Amazon Prime Video, Benchetrit realizza un piccolo film tenero, malinconico e surreale. E alla fine, quando lo schermo si fa nero, e titoli di coda iniziano a scorrere, ci si sente riconciliati. Non è poco.

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