Ratched, recensione della prima stagione su Netflix

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Già dall’annuncio della messa in onda del nuovo prodotto seriale originale targato Netflix, Ratched (trailer) ha richiamato l’attenzione di moltissimi appassionati, poiché collegata con la celeberrima opera cinematografica Qualcuno volò sul nido del cuculo (M. Forman, 1975). In questo prequel, Ryan Murphy offre allo spettatore un viaggio attraverso uno dei suoi mondi contorti, dove non possono mancare i freaks e le conturbanti sfaccettature dell’animo umano. Al fianco di Murphy, troviamo una vecchia conoscenza: Sarah Paulson, che nella serie interpreta proprio l’infermiera Mildred Ratched, ruolo nella teoria ostico proprio per il complesso e perfido personaggio interpretato nel 1975 dal premio Oscar Louise Fletcher, ma che la Paulson riesce a gestite alla perfezione.

Una sera del 1974 Edmund Tolleson (Finn Wittrock) massacra e brutalizza quattro preti. Una volta arrestato e tempestivamente condotto nel centro psichiatrico del dottor Richard Hanover (Jon Jon Briones), Edmund verrà studiato al fine di essere valutato come capace di intendere e di volere oppure come insano di mente. Da ciò dipenderà la possibilità o meno per lui di sostenere un processo che lo porterà indubbiamente verso la pena di morte. Subito dopo fa la sua comparsa l’infermiera Ratched, pronta a tutto pur di ottenere un posto di lavoro in quell’istituto.

Il passato dell’infermiera Ratched risulta misterioso, ma se c’è qualcosa che risalta agli occhi dello spettatore sono proprio le sue molteplici e controverse sfaccettature: durante la serie la vediamo alternarsi tra momenti di totale perfidia e pillole di pura umanità, momenti in cui è affascinata dalle terrificanti pratiche dell’epoca e momenti in cui comprende i limiti e l’essenza dell’animo umano. Ma è proprio questo connubio che crea una fascinazione con chi guarda, mettendo in risalto non solo l’animo gelido della protagonista, capace di tenere tutti in pugno e di ribaltare a suo favore ogni situazione, ma anche la sua fragilità e il lato più umano. Il tutto rende molto interessante il suo arco di trasformazione.

La serie porta avanti una aperta critica nei confronti psichiatrico del sistema sanitario, al quale per anni è stato permesso di condurre sperimentazioni e vere e proprie torture su pazienti sia sani che malati, in quanto fino a non pochi anni fa bastava poco per essere etichettati come “pazzi”: disturbi del sonno, depressione, isteria, disordini alimentari, omosessualità, etc., fornivano un biglietto di sola andata per il manicomio. Vengono considerate, in aggiunta, le dinamiche di potere e la nocività che ne scaturisce dal suo abuso. Si pone di conseguenza l’attenzione sull’atavico dilemma: si nasce cattivi o lo si diventa?

Ryan Murphy ribadisce nella serie la sua passione per i freaks (abbondantemente presenti in American Horror Story Asylum e Freaks), che in questo caso non sono dei pazienti del centro psichiatrico, ma persone che godono della libertà poiché non destano sospetti e, per questo, anche accettati dalla società: più di tutti la stessa infermiera Ratched. Questo perché Murphy, come in altre occasioni, vuole porre l’accento sul fatto che i veri mostri non si rivelano come tali all’apparenza, ma piuttosto si celano dietro le forme e le vesti più inaspettate e insospettabili.

Lo stile di Ryan Murphy si evince anche e soprattutto nella sigla: un lungo filo rosso con cui ognuno di noi si ritrova a percorrere ogni aspetto della mente, rappresentate come un labirinto, al suono di stridenti violini che non fanno altro che accrescere l’angoscia e l’inquietudine che concerne l’esplorazione dell’animo umano.

La scenografia risulta geometrica ed impeccabile soprattutto per quel che concerne il centro psichiatrico, che conferisce un clima di asetticità all’ambiente. Non sentiamo mai infatti le urla disperate dei pazienti, ma tutto risulta all’apparenza calmo, silenzioso e, per questo, ancora più inquietante. Per rafforzare la tensione in alcune scene decisive si è optato per una commistione di inquadrature soggettive e oggettive, mettendo a confronto i punti di vista dei personaggi. La fotografia, che prevede momenti brillanti, intervallati da scene più cupe, viene utilizzata in alcuni momenti come metafora della mente umana: una luce verde e rossa viene adoperata varie volte nel corso della serie come un segno di partenza o di arresto delle più intricate voglie umane.

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