American Night, la recensione: proiettili al neon nel mondo dell’arte

American Night recensione

Degli occhi socchiusi e uno sguardo ammaliante. Un volto immortale che esplode di colori sgargianti. Un simbolo pop del secolo scorso, un’icona che viene fatta icona. Tutto questo è la Marilyn di Andy Warhol, una delle opere d’arte più celebri del Novecento, al centro della storia del film. Dopo essere stata trasportata da un ignaro corriere (Fortunato Cerlino) a New York, la sua sparizione finirà per scatenare due forze contrapposte: da un lato John Kaplan (Jonathan Rhys Meyers), mercante d’arte e gallerista, in fuga da un passato da falsario; dall’altro Michael Rubino (Emile Hirsch), boss della mafia italoamericana e aspirante pittore, smanioso di entrare in possesso del quadro che era stato del padre come simbolo della sua ascesa al potere.

Questa è la premessa di American Night (trailer), scritto e diretto da Alessio Della Valle, al suo esordio cinematografico, presentato alla 78° Mostra del Cinema di Venezia 2021 e ora in uscita nelle sale italiane. Il film, che si muove tra thriller, neo-noir gangster movie, con elementi da cinema formalista e d’avanguardia, è ambientato nel mondo dell’arte contemporanea di New York. Una scelta che con tutta evidenza si deve al passato del regista, in precedenza fotografo ed artista internazionale. Ma come si sarà destreggiato in questa sua prima incursione nel mondo del cinema?

Come detto, il film si presenta come una commistione di generi, vera e propria pastiche postmoderna capace di giocare con estetiche e simbologie differenti, in un’operazione pienamente in scia con l’arte contemporanea di cui si fa vetrina. Decine sono infatti le opere realmente presenti nel film, dal già citato Warhol a Jeff Koons, dalla pop art alla scultura e alla videoarte. L’occhio del regista sembra languire davanti a tali oggetti, in uno sforzo estetico che si riflette nella pellicola stessa. Tutto il film è contraddistinto dalla predominanza assoluta di due colori, il blu e il rosso (quelli della bandiera americana), spesso accesi e ipersaturi come luci al neon.

Ma oltre alle caratteristiche cromatiche, il lavoro su cui il regista si concentra di più è proprio quello sulle icone della cultura pop. Tra brani di musica classica riarrangiati e baristi vestiti da rockstar morte, non mancano poi gli innumerevoli riferimenti al cinema popolare contemporaneo (il figlio di un boss mafioso, di nome Michael, è chiamato a succedere al padre… ricorda qualcosa?). Evidente, infine, la volontà del regista di richiamarsi a Tarantino, sia nella trama gangsteristica e nelle scene di sparatorie, sia in scelte estetiche e narrative quali l’utilizzo delle didascalie nella presentazione dei personaggi e la divisione della storia in capitoli.

Se dunque il film fa della ricerca estetica e del lavoro formale il suo fiore all’occhiello, ciò in cui inciampa è probabilmente la sceneggiatura. La narrazione segue un percorso non lineare, con una storia divisa in tre capitoli (i canonici tre atti), ciascuno dei quali attua un’operazione di “revisione” nei confronti del precedente. Se la prima parte appare in larga parte lasciata al non detto, i cui nessi causali sono nascosti e quasi confusi, la seconda e la terza aggiungono sempre nuovi pezzi alla storia in maniera retroattiva. Nel fare questo, però, spesso la stessa scena viene mostrata più volte, in modo da chiarirne il significato, con il risultato però di appesantire lo spettatore. Inoltre, se il proposito del film è quello di fornire dei puntini tratteggiati da unire con il procedere della narrazione, il disegno risultante non appare abbastanza unitario come ci si aspetterebbe. Tali pecche lasciano ancor più straniti se si pensa che la sceneggiatura è stata scelta dall’Academy di Los Angeles per essere conservata nella sua collezione.

Life + art = chaos. Così recita il terzo capitolo del film. E forse tale espressione è quella che più si presta a definire la riuscita di American Night, un’opera estremamente ambiziosa nella sua ricerca estetica, ma che inciampa sulla chiarezza espositiva perdendosi in una trama caotica e mal calibrata. D’altra parte, tenendo conto dell’esordiente regista italiano Alessio Della Valle, occorre sperare in un secondo film che magari riesca ad aggiustare il tiro. Nel frattempo non possiamo che accogliere l’invito di Fortunato Cerlino, in questo delicato momento storico, a ripopolare i cinema, lasciando che sia il lettore/spettatore a decretare il successo del film.

American Night è al cinema dal 19 maggio.

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