Snowpiercer, la recensione della seconda stagione su Netflix

Snowpiercer seconda stagione Netflix

“Non nego che Lei sia stato un eccezionale ragazzo prodigio. Peccato sia rimasto tale.” Con queste poche parole Andreotti zittì un petulante contestatore e con la medesima sentenza potremmo liquidare anche la seconda stagione di Snowpiercer (trailer), ora disponibile integralmente su Netflix

I presupposti per fare un prodotto da Olimpo della serialità ci sono, ma vengono gettati alle ortiche dal tentativo di creare una patina pop attorno ad una realtà narrativamente opprimente. Il perché di questa operazione è pienamente comprensibile, ma forse si è sbagliato target. Se la prima stagione genera un minimo di interesse grazie ad un’ostica guerra intestina, nella seconda si assiste alla diaspora del racconto che sfocia in un discutibile connubio tra azione e sentimentalismo. Snowpiercer presenta infatti tre grandi problemi strutturali: domande irrisolte, personaggi, narrativa.

Partiamo dal primo problema. La seconda stagione pone tanti e legittimi dubbi non soddisfatti. Non si tratta di dettagli ma di elementi che incidono significamente sull’universo narrativo. Tra tutti, segnaliamo quelle legate alla Big Alice, alla sua nascita e sopravvivenza. Gli sceneggiatori hanno provato ad inserire frettolose giustificazioni, ma troppo poco per essere il turning point di tutta la serie. Inoltre a lasciare lo spettatore sconcertato è come, in un ambiente così angusto, possano sfuggire certi avvenimenti clamorosi. Vedendo la serie, rimbomba in testa la domanda: come è possibile che una qualsiasi vicina di casa abbia più spirito d’osservazione e capacità di diffondere pettegolezzi rispetto a centinaia di persone che convivono in un tubo di ferro? Poi, in coda alle domande irrisolte, viene da chiedersi dove finiscano a volte i personaggi. Forse si lasciano addormentare nelle celle criogeniche. Un esempio è la ragazza asiatica fidanzata con il frenatore. In origine lei sembra avere un ruolo centrale nella linea di comando del treno, poi evapora nell’etere mentre sul treno accade letteralmente di tutto.

Snowpiercer, seconda stagione Netflix

Il secondo problema di Snowpiercer sono i personaggi. Questo si lega più alla loro caratterizzazione che alla coralità della serie. Sebbene essi abbiano delle loro peculiarità, lo spettatore non riesce a trovare alcun allineamento. A tratti risultano addirittura antipatici e bipolari, annullando ogni momento di empatia, persino negli snodi più emotivi. Senza voler anticipare nulla, prendiamo a paradigma il personaggio di Miss Audrey (Lena Hall). Potrebbe essere l’eroina del pubblico, invece si perde tra citazioni pop fine a se stesse: è una Dita Von Teese che all’occorrenza si trasforma in Ilsa la Belva delle SS, Pina Bausch, Katy Perry o Judy Garland. Una vera e propria mutaforme. Ci sono poi personaggi monolitici, marionette pronte a fare seppuku e cattivi mal riusciti. Unica eccezione è la vera protagonista della serie, Melanie Cavill (Jennifer Connelly). Sebbene venga anch’essa banalizzata, il suo conflitto interiore riesce comunque a coinvolgere. Non importa se con le Louboutin o con una tuta da palombaro, lei rimane sempre se stessa.

Il terzo problema è la narrativa. Troppe linee e poco sviluppate, soprattutto per uno spazio come un treno, dove la ristrettezza dovrebbe imporre un intreccio costante. L’atmosfera pop che vorrebbe essere il punto di forza, si trasforma in quello di debolezza. Forse sarebbe stato meglio dare un taglio più artistico per ottenere una serie di tono e stile opposto, ma molto più efficace e verosimile per un soggetto del genere. L’episodio dedicato a Melanie lascia rimpianti, pur rimanendo il migliore della stagione. Se fosse stato girato in modo crudo e asciutto, con taglienti silenzi e una tangibile suspense, non sarebbe stato un capolavoro del piccolo schermo?

Snowpiercer non è una serie del tutto disastrosa, sia ben chiaro. Riesce a rimanere a galla grazie ad una trama interessante ed ad un budget che consente di realizzare un prodotto di alta qualità visiva. È la scrittura ad aver affossato il progetto. Un po’ di pubblico se lo assicura grazie al brand, ma non ha chance per allargare l’audience. A maggior ragione su Netflix, dove la concorrenza è spietata. In sintesi: tutto fumo e niente arrosto.

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