Si, Chef! – La Brigade, recensione: l’arte della condivisione

Si, Chef! – La Brigade (trailer), diretto da Louis-Julien Petit e scritto dal regista assieme a Liza Benguigui e Sophie Benadoun, si sofferma sulla leggerezza con cui il mondo intero guarda ad un fenomeno diffusissimo: la diversa considerazione della violenza. L’esperienza di venire a contatto con occhi e corpi diversi dai nostri viene spesso sottovalutata o viene annullata: l’unicità che ci circonda ci potrebbe aiutare a coltivare la meraviglia nei nostri occhi, se solo fossimo in grado di aprirci così al mondo. Il riconoscimento delle diversità è un mezzo importante per la lotta contro le discriminazioni e disuguaglianze di accesso a vari aspetti della socialità.

Quando la competizione diventa il tuo metro di valutazione, prende la forma del tuo modo di amarti ed amare. La protagonista Cathy-Marie (Audrey Lamy) sa bene cosa significa, essendo stata abbandonata in un orfanotrofio da quando ha memoria. Ma la società e la grottesca coercizione che la protagonista viveva nel suo vecchio lavoro da commis chef (quindi da assistente dei cuochi e cuoche nell’organizzazione operativa della brigata in cucina) la trasformano in ciò che odia, ovvero la sua datrice di lavoro, che decide infatti di abbandonare. 

Cathy-Marie, davanti alle premesse del nuovo impiego in un centro di accoglienza per persone minorenni sopravvissute ad una migrazione senza accompagnamento, rimane inizialmente delusa e arrabbiata per lo stato in cui verte la struttura e non dedica tempo ad insegnare il mestiere a chi voleva aiutarla tra i ragazzi. “I migranti non hanno il diritto di mangiare bene?” irrompe la protagonista contro il proprietario del centro (François Cluzet). L’uomo la fa riflettere sull’aiuto dei ragazzi: “I migranti giocano a calcio e basta?”; il proprietario pone Cathy-Marie davanti ad una nuova prospettiva, quella della comprensione nei confronti di queste persone, che la fa ragionare sul suo desiderio profondo di essere vista per chi è davvero.

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Il fuoco nel petto della protagonista si accende con la storia di due campioni, Gusgus e di Djibril: il primo è appassionato di cucina e cerca come può di assorbire il bene che la scuola gli offre e coltiva il desiderio di diventare chef, il secondo ama con tutto il cuore il calcio e desidera una carriera di successo, “come Cristiano Ronaldo”. Con molta naturalezza si forma una vera e propria squadra “d’attacco“ unita, una novità nella vita di vuoti e solitudine della protagonista: i ragazzi, all’inizio intimiditi dall’atteggiamento della chef, diventano grandi conoscitori della tecnica, del paese ospitante e del proprio paese d’origine, instaurando così uno scambio mutuale con la chef.

Non esiste un grado di considerazione e un conseguente grado di importanza diverso davanti alla violenza fisica o psicologica che sia. Quello che possiamo fare è ricostruire un nostro universo, grazie ed a partire dallo scambio con quelli altrui per generarsi in modo originale. L’atomismo, dunque l’individualismo, fine a sé stesso esclude a priori questa possibilità; la vita inizia nel dialogo, come ci insegna la voglia dei ragazzi di rompere il guscio della chef e la stessa che assorbe la positività dei primi. Cathy-Marie acquista una tranquillità nell’osservarsi: assume uno sguardo acceso di chi si sente finalmente a suo agio nell’amare. Dopo tutto, cos’è questo sentimento se non condivisione

La chef capisce l’importanza preliminare di meravigliarsi davanti agli aspetti più profondi della sua vita, che sono proprio quelli davanti ai suoi occhi. Perché “esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura”, citando Questo immenso non sapere di Chandra Candiani. Grazie a questo suo tuffo nel mare sicuro della fiducia, impara la gioia di vivere e di apprezzare il cambiamento nel suo cammino.

In uscita al cinema il 7 dicembre 2022.

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