Scream VI, la recensione: il prosieguo paradossale di un franchise

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È passato appena un anno dal reboot camuffato da requel (o lega-sequel) della storica saga di Scream, e già possiamo vederne al cinema un altro sequel. Quella di Scream è sempre stata una saga horror/slasher a suo modo diversa dalle altre, pur prelevandone tutti i tratti più caratteristici. Ciò che la contraddistingueva era la sua natura metanarrativa, la sua capacità di fare ironia sul genere, sui film che l’hanno preceduta e su quelli che l’accompagnavano. Non è un caso, infatti, che i vari capitoli diretti da Wes Craven fossero quasi tutti usciti a diversi anni di distanza, poiché ogni Scream rifletteva e parodizzava una diversa fase o tendenza del cinema horror e, in linea anche più generica, del cinema di massa nazional-popolare, con citazioni, frecciatine o vere e proprie provocazioni verso le mode o i principali argomenti del tempo.

Verrebbe naturale chiedersi su cosa, a distanza di solo un anno, possa riflettere questo nuovo Scream VI (trailer) laddove già il quinto capitolo si focalizzava su delle tematiche sì attuali, ma già affrontate e precedute nel quarto ed ultimo diretto da Craven. La risposta è piuttosto semplice: Scream VI agisce per distacco e sottrazione, e sembra funzionare. Questo sesto capitolo, infatti, prende le distanze da tutti quegli elementi che tanto hanno caratterizzato e contribuito a rendere particolarmente celebre questa saga. La metanarrazione è presente, ma pesantemente ridimensionata, nella forma e nel ruolo. Le citazioni, le allusioni e le riflessioni dei protagonisti non solo appaiono ridotte, ma vengono relegate ad una funzione puramente ironica, seppur comunque si cerchi per quanto possibile di sfruttare le proprie conoscenze sulla storia del cinema horror per sopravvivere agli attacchi del killer.

I due registi del film, Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, decidono di stravolgere anche l’ambientazione, l’iconica cittadina di Woodsboro, che qui viene meno, sostituita dal caos metropolitano di New York,  ambiente che viene incontro alla sceneggiatura e agli spettatori permettendo lo sfruttamento di situazioni inedite a cui all’interno della piccola cittadina non avremmo potuto assistere (l’intera sequenza della metro presentata anche nel trailer è già entrata nella storia). Se poi, nel requel che lo ha preceduto, la vecchia scuola veniva incontro ai nuovi personaggi consentendo un alternarsi continuo tra ieri e oggi, qui è la nuova generazione a farla da padrona, considerando che dei protagonisti originali l’unica a tornare stavolta è Gale (Courtney Cox), con un ruolo decisamente ridotto. Uno dei problemi del film sta proprio nella sua trattazione dei personaggi, che appaiono sì simpatici e piacevoli, ma statici. La stessa Gale sembra costretta a vivere lo stesso arco narrativo in ogni film della saga, così le due nuove protagoniste principali, Samantha (Melissa Barbera) e Tara (Jenna Ortega).

In compenso, riscontriamo qui un Ghostface violento come non mai. Già lo Scream dell’anno scorso presentava una svolta sotto il punto di vista della violenza e della cattiveria rispetto al passato, ma in questo caso si amplifica il tutto in un film a tratti folle e, a differenza dei precedenti casi, effettivamente spaventoso, puntando al terrore e all’imprevedibilità. Il risultato di questi cambiamenti è un generale appiattimento del film che da Scream finisce con l’allinearsi sulla forma di uno slasher più tipico, perdendo proprio quelle caratteristiche che permettevano alla saga di ritagliarsi un proprio spazio personale all’interno del genere. Eppure, al contempo, si punta tanto, forse troppo, sulla nostalgia. Non solo citazioni, ma vere e proprie ricostruzioni di determinate situazioni e sequenze cult della serie, con l’obiettivo di attivare i ricordi degli spettatori per poi sorprenderli intraprendendo differenti strade. L’obiettivo è quello di sorprendere continuamente chi guarda il film, in modo da rendere letteralmente impossibile riuscire a prevedere anche solo in parte quale sarà il prossimo colpo di scena, con qualche forzatura forse eccessivamente surreale. Infatti, la sospensione dell’incredulità richiesta al pubblico non è mai stata così elevata, seppur funzionale  alla narrazione e, calata all’interno del macroverso di Scream, volendo facilmente perdonabile.

Il problema, è dato dalla rinnovata contraddizione del rilancio dei due nuovi registi. Perché questo film vuole prendere le distanze da ciò che è stato fatto in precedenza, eppure si presenta come un mausoleo a ciò che Scream ha rappresentato e continua a rappresentare per più di una generazione. Con il risultato inevitabile di far sorridere i fan più affezionati ma apparendo confuso nella direzione intrapresa. Poiché per la seconda volta, si guarda al futuro ancorandosi al passato. Perfino in un contesto generale in cui i volti iconici della saga non sono più presenti (e laddove lo sono, come nel caso di Gale, sembrano regredire piuttosto che evolversi), la retromania (perché di questo si tratta) espressa da questi due nuovi capitoli continua a costringere e ad annegare la storia all’interno di un maremoto di citazioni, allusioni e ricordi.

È un film paradossale questo Scream VI, ma ciò che è ancora più paradossale, è che funziona. Funziona questo continuo alternarsi fra presente e passato, funziona il delirio di una narrazione che mira all’esaltazione di massa, puntando forse un po’ all’eccesso nella sua messa in scena e nella sua scrittura, apparendo sovraccarica e a tratti perfino grottesca, ma diventa veramente difficile non farsi coinvolgere, specialmente se si rientra in quella cerchia di fan e amatori che il titolo stesso sembra voler (in modo affettuoso) ridicolizzare.

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