#ROMAFF15: Peninsula, la recensione

Peninsula

Train to Busan presents: Peninsula (trailer). Dopo quattro anni da Train to Busan e Seoul Station (“prequel” animato), Sang-ho Yeon torna alla regia del suo franchise sugli zombie di successo con, appunto, questo Peninsula, l’ennesimo film ospitato da #ROMAFF15 per far parte della ormai famosa selezione di Cannes 2020.

Peninsula parte in quarta. Sang-ho infatti non si perde in chiacchiere, tanto da ridurre il prologo ad una (discutibile) sequenza di pochi minuti dove vengono delineate le future coordinate di azione dei protagonisti. Quattro anni dopo che il letale virus partito da Busan ha contaminato tutta la Corea, da qui in poi “la Penisola”, i pochi sopravvissuti sono riusciti a fuggire nelle zone limitrofe, ma la loro vita è praticamente marchiata dalla discriminazione nutrita dai cittadini dei paesi ospiti. Nel frattempo, una banda di criminali hongkongese vuole sfruttare la possibilità di infiltrarsi nella penisola per recuperare parte dei milioni di dollari rimasti incustoditi e per farlo sceglie proprio un gruppo di sopravvissuti che abbiamo visto nel prologo.

Le intenzioni di Peninsula sono chiare: esportare un prodotto attraverso il puro intrattenimento. Intenzioni chiare proprio dal sopracitato prologo e dagli scontati dialoghi che faranno parte del film. Quello che traspare, purtroppo, è solo una riduttiva banalizzazione più che un’universalizzazione del prodotto. Il film finisce così per essere diviso in due macro blocchi – uno action e uno drammatico – destinati a viaggiare per autostrade parallele più che legarsi con armonia.

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Gli iniziali ed altalenanti cambi di ritmo (dal dramma dei sopravvissuti a quello-che-vuole-essere l’esilarante intervento dei bambini della penisola), più che fornire vivacità al prodotto, fanno lentamente passare in secondo piano quelli che poi risulteranno essere nella seconda parte del film i veri punti di forza del prodotto: le scene action. Ed è un peccato, perché Sang-ho in questi frangenti si dimostra un ottimo regista, capace di tenere per minuti un’inquadratura senza ricorrere a tagli di montaggio (il fantastico long take nella gabbia) o anche di saper gestire una CGI non così eccelsa (il lungo inseguimento finale).

Resta però, come accennato in precedenza, un’incapacità nel saper dosare e inserire le parentesi drammatiche nel film, vista, in primis, la mancanza di un (minimo) accenno di profondità della vicenda e, poi, di un eccessivo utilizzo di espedienti come il ralenti che rischia più volte di far affondare definitivamente il film. Peninsula, in conclusione, è un titolo che aveva le carte in regola per sfondare ma semplicemente non ha saputo sfruttarle. Tra i titoli più dimenticabili di questa Festa.

Nota a margine: per quanto il successo del franchise Busan possa aver reso più “semplice” una distribuzione anche in Italia, è sempre da lodare il lavoro della Tucker Film, stretta collaboratrice e discendente del Far East Film Festival, che proprio in questi giorni ha anche lanciato Far East Online, piattaforma streaming dedicata esclusivamente al cinema orientale. Decisamente da tenere d’occhio.

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