#ROMAFF15: Nowhere Special, la recensione

Nowhere Special

John (James Norton) guarda le vite delle persone da dietro un vetro, spettatore distante delle esistenze altrui, mentre lava le finestre per guadagnare i soldi necessari per sé e suo figlio. In sala ci si ritrova in una situazione analoga: la regia di Uberto Pasolini pone un filtro, che come un vetro, distanzia chi guarda dalla condizione brutale del protagonista di Nowhere Special (clip), uomo in fin di vita che deve trovare una famiglia adottiva per il figlio di quattro anni.

Lo spettatore viene preso per mano e accompagnato a piccoli passi nella quotidianità di questa famiglia, una quotidianità devastata dallo spettro della malattia di John, della quale viene mostrato pochissimo, solo il necessario. Il dolore di chi guarda scaturisce unicamente dall’inevitabilità della caduta di quella spada di Damocle che pende sopra la testa del protagonista. Scaturisce dal volto dolce del bambino, dall’affetto delle persone, dalla freddezza di alcune famiglie affidatarie. Scaturisce dalla scellerata assurdità del non poter godere del poco tempo a disposizione con un figlio al quale bisogna invece trovare, in fretta, un’altra famiglia. Uberto Pasolini è consapevole di quanto sia potente la storia alla base di Nowhere Special e allora tempera la macchina da presa affinché tutto ciò che si vede appaia delicato.

Il regista non punta a far disperare lo spettatore di fronte ad un climax strappalacrime, così come sono pochi i momenti nei quali i personaggi stessi si lasciano andare allo sconforto. È più un senso di angoscia a pervadere chi guarda, mentre John con lucidità fa di tutto per porre rimedio all’irrimediabilità della morte. Pianificare e agire di conseguenza crea l’illusione di avere sotto controllo la propria vita, dunque John tenta di applicare lo stesso principio alla morte. E come con distacco osserva gli altri, la loro felicità, i loro bambini crescere e giocare con i propri padri, con lo stesso distacco tenta anche di affrontare il distacco stesso: l’addio al figlio. E lo spettatore con lui.

Proprio per questo, nonostante la storia che mette in scena, Nowhere Special non è un film pesante. Si riesce ad assistere per più di un’ora e mezza al dramma di un padre senza che questo risulti straziante, senza uscire dalla sala con il cuore spezzato. Ciò succede grazie al tipo di narrazione che sceglie Uberto Pasolini, dove viene lasciato lo spazio per la speranza, che va ad insinuarsi tra i silenzi caratterizzanti il film, addolcendo il dolore che giace tra quelle stesse pieghe.

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