Red Notice, la recensione del film Netflix

La recensione di Red Notice, il nuovo film con Dwayne Johnson

Per come sono stati costruiti negli anni i buddy movies, la continua rilettura che un nuovo film fornisce può essere utile per riscrivere la storia in termini contemporanei, ribaltando i clichè che sono alla base di canoni ormai datati. Per questo Red Notice (trailer) è un’occasione persa (ma probabilmente neanche cercata). Il nuovo film targato Netflix, diretto da Rawson Marshall Thurber, racconta le incredibili truffe perpetrate da Nolan Booth (Ryan Reynolds), il secondo migliore truffatore del mondo, che intralcia la strada di un profiler dell’FBI, John Hartley (Dwayne Johnson), entrambi sempre un passo indietro rispetto all’Alfiere (Gal Gadot), ovvero la migliore truffatrice del mondo.

Tre sono le uova d’oro che Antonio donò a Cleopatra come simbolo d’amore e, non più riunite da circa 2000 anni, sono ora l’ambito premio dei due truffatori: il compito dell’agente Hartley è quello di proteggerle. O meglio, di perderle e rincorrerle quando ormai neanche più la legge è dalla sua parte, costretto ad allearsi con Nolan fra le fredde celle di una russa Azkaban. In quello che è un giro del mondo in sicuramente meno di 80 giorni, ma comunque troppi, i due si esibiscono in rocambolesche acrobazie, impossibili inseguimenti, semi-ingegnosi piani e interminabili spiegoni.

Ora, quando su un poster si vedono affiancati questi tre nomi hollywoodiani si sa già cosa aspettarsi: capacità fisiche al limite del para-normale, esplosioni, battutacce e femminile fatalità. Quando le truffe sono implicate, si spera sempre nell’utilizzo di una scrittura che furbamente si destreggia nella creazione di situazioni impossibili, da cui si potrà uscire solo grazie all’intelligenza dei personaggi. A quanto pare, in Red Notice, sono tutti intelligenti anche se non ci viene mai detto il perché: non seguiamo i loro ragionamenti, che così tanto li aiutano ma che a livello di scrittura sembrano avventati e miracolosi deus ex machina.

In una narrativa ormai trita e ritrita, secondo cui gli uomini sono capaci di empatizzare fra di loro solo quando la loro infanzia è stata tragicamente intaccata (questa volta da padri freddi e distaccati), i personaggi continuano costantemente a spiegare quello che stanno facendo mentre lo fanno, prima di farlo o appena l’hanno fatto. La comicità si limita alla sola figura di Ryan Reynolds, che quantomeno riesce a creare un’illusione di intrattenimento, con il continuo utilizzo però di pratiche memistiche che a lungo andare potranno forse diventare indigeste (ma speriamo di no).

Per quanto possa essere divertente assistere ad assurdi inseguimenti in luoghi che non ne hanno mai visti prima (come Castel Sant’Angelo a Roma), il film sembra essere costruito attorno a battute pensate en passant ed insieme forzatamente incastrate, il cui unico lascito è la paura generata dal pensiero di quanto possa essere corrosiva una lattina di Coca Cola.  

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