Quando, la recensione: la necessità di ascoltare

Chi è che non ha mai sentito, almeno una volta, la frase: “Si stava meglio quando si stava peggio”? Un luogo comune che tuttora è motivo di incomunicabilità tra nuove e vecchie generazioni e che, ad un primo sguardo, sembrerebbe l’unico messaggio portato in scena dal film Quando (trailer) di Walter Veltroni, regista e autore dell’omonimo romanzo da cui è tratto. Eppure, in una narrazione così pregna di elementi, tanto da non sapere su che cosa focalizzarci, ecco che il quesito sopraindicato, così fondamentale all’interno della narrazione, diventa solamente il punto di partenza per parlare di altro.

Quando racconta il miracoloso risveglio di Giovanni Piovasco (Neri Marcorè) che, intonando l’inno del Partito Comunista, riprende la sua vita dall’esatto momento in cui si era interrotta ben 31 anni prima, nel 13 giugno del 1984. Al tempo il ragazzo, appena diciottenne, stava partecipando in piazza San Giovanni a Roma, al lutto nazionale per la morte di Berlinguer quando, a causa del colpo alla testa ricevuto da una bandiera del partito, finisce in coma. Lo sventurato protagonista si ritrova dunque immerso in un mondo, il 2015, totalmente estraneo rispetto a quello che aveva lasciato, proprio come se, suo malgrado, avesse viaggiato nel tempo.

Ad attenderlo c’è suor Giulia (Valeria Solarino), una giovane donna che si è presa cura di Giovanni durante il suo stato di incoscienza e che lo aiuterà nel suo percorso di riabilitazione e reinserimento nella società. Lei è il primo e l’ultimo personaggio che vediamo sullo schermo, in due sequenze che la vedono intenta ad allenarsi, correndo in abiti sportivi. Elemento che da un senso di circolarità alla vicenda ponendo il focus sul suo percorso di cambiamento: prima dell’interazione con il protagonista e dopo di essa. Non a caso l’ultima sequenza del film ci mostra Giulia che, mentre corre, inizia a ridere in una dimostrazione di gioia incontrollata. La giovane suora, infatti, ha intrapreso la vita ecclesiastica non per una forte vocazione, ma perché alla ricerca di un’amicizia sincera e disinteressata. Amicizia (o forse qualcosa di più) che Giulia e Giovanni instaurano in un continuo andirivieni tra ricordi del passato e la scoperta del presente.

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Un altro personaggio importante è Leo (Fabrizio Ciavoni), un ragazzo di appena diciott’anni che soffre di mutismo selettivo e che Giovanni incontra nella lussuosa casa in campagna dove entrambi sono in cura. La loro amicizia nasce in maniera del tutto spontanea: il protagonista chiede al ragazzo (lo chiama con un fischio) di aiutarlo ad aprire un barattolo di marmellata; da questa semplice e banale interazione ecco che Leo torna a parlare. Dinamica che non può che ricordarci Sole a catinelle di Checco Zalone dove, anche in quel caso, Checco “costringe” un ragazzino che soffre di mutismo selettivo a parlare, chiedendogli insistentemente delle informazioni. Leo, successivamente svelerà al protagonista che è semplice parlare con lui perché, citando direttamente le sue parole: «In te ci ritrovo qualcosa».

Ebbene, perché questi due personaggi, comunque marginali all’interno della trama, sarebbero così importanti? Forse è proprio per il ruolo da loro ricoperto che la relazione che Giovanni instaura con queste figure risulta funzionale. Difatti, ciò che rimane impresso di tutta la visione del film è proprio l’estrema semplicità con cui Giovanni interagisce e riesce a creare (e in alcuni casi recuperare) i rapporti con le persone. Ma, mentre alcuni di questi rapporti sembrano, forse per via di un carico emotivo troppo grande rispetto ai toni della commedia, fin troppo semplicistici, ciò non accade con Leo e Giulia. Due persone che, in modi diversi, si sono autoescluse dalla società che li faceva sentire inadeguati e inascoltati, ma che tornano all’interno di essa grazie, semplicemente, ad un amico pronto ad ascoltarli.

Giovanni, grazie anche all’ottima interpretazione di Marcorè, ci appare come un personaggio coerente nel suo ruolo, capace di creare relazioni non perché appartenente a una differente generazione, ma proprio perché si trova in una realtà in cui lui non c’entra nulla e si sente, come lui stesso si definisce, un “alieno”. Questo lo predispone in uno stato di ascolto dell’altro e di curiosità verso tutto ciò che è nuovo che, attualmente, è ciò che manca all’interno della nostra chiusa e schematica, quotidianità. Quando è una storia senza colpe né meriti e quella che viene messa in scena non è la differenza tra ieri e oggi, come si potrebbe erroneamente pensare, bensì ciò che oggi è rimasto invariato rispetto a ieri: le persone e la loro capacità di amare, sbagliare e anche chiudersi in sé stessi, solo per paura di essere rifiutati.

Quando è al cinema dal 30 marzo.

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