#FKFF22: Promise, la recensione del film di Min Byung-hun

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Dopo In Our Day di Hong Sang-soo, al Florence Korea Film Fest, si torna a raccontare la poesia con Promise. Solo che a scriverle questa volta non è un anziano amante di alcol e sigarette, ma è un bambino di nove anni. La storia è infatti quella di Si-woo e di suo padre Min Byung-hun, anche regista del film, che insieme devono affrontare la perdita della madre/moglie.

Le poesie che Si-woo dedica a sua madre sono un modo per elaborare il lutto. E queste crescono con lui, si evolvono, migliorano nel tempo. Anche il documentario che Min Byung-hun sta costruendo anno dopo anno ha la stessa funzione terapeutica. Questi due atti creativi, generati dalla sofferenza, danno vita a visioni e a momenti intimi e personali, che, per trovare la loro completezza, devono essere posti davanti ad un pubblico, la cui visione sancisce ľatto definitivo del percorso di accettazione. I due devono costruire un nuovo forte legame basato sullo scambio di sensazioni (che confluiscono nei loro due progetti, così diversi, ma al contempo così simili e con la medesima funzione).

Il bambino nelle sue poesie associa la madre a elementi naturali o a oggetti che scandiscono il passaggio stagionale (lo scorrere del tempo), qui momento importante tanto quanto nei film di Nuri Bilge Ceylan. Quindi, il regista accompagna le letture di Si-woo con bellissime immagini di contesto ambientale, tra folte foreste, spiagge incontaminate, campagne innevate, la scuola di suo figlio, fino alla loro casa con grandi finestre dalle quali è possibile scrutare l’esterno.

Se in alcuni momenti il film sceglie la strada delľempatia e della libertà, in altri, forse maggiori, sembra fin troppo costruito e, soprattutto, pensato, in particolare nelle scelte di montaggio. I passi che facciamo verso i protagonisti grazie alle varie sequenze di gioco o alľemozionante visita della tomba sotto ľalbero vengono spezzati da idee meccaniche che tentano di far entrare il documentario all’interno di canoni già esplorati e consolidati. Ma forse Min Byung-hun, che guarda al computer le inquadrature realizzate, fa intendere che sia una scelta voluta.

In ogni caso rimane un (necessario) archivio di immagini e parole, che si fondono fino al concepimento di un personale significato della morte. Che la madre sia diventata uno di quegli elementi naturali tanto descritti ed esplorati? «Nulla è per sempre», si convincono i protagonisti, ma forse si ricredono per via della promessa (da qui il titolo, Promise) fatta, quella di rivedersi, prima o poi, nel paradiso in cui i due credono. Il quaderno di Si-woo finisce, e poi finisce il film. «Gli uccelli che volano segnano ľinizio, le stelle nel cielo la fine».

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