Una gravidanza indesiderata, un’adolescente problematica e un tentativo illegale d’aborto. Il film esordio per Julie Lerat-Gersant, Petites – La vita che vorrei per te (trailer), presentato al Locarno Film Festival, racconta le turbolente vicende di Camille (Pili Groyne) che, sedicenne e incinta, viene allontanata dalla madre Clo (Victoire Du Bois) e inserita in un centro d’accoglienza per madri adolescenti e i loro neonati. Quello di Lerat-Gersant è un film potente per certi versi, e non sarebbe potuto essere altrimenti visti gli argomenti di cui tratta, eppure è un film la cui complessità comincia ad essere intuita solo verso la fine e non senza fatica. Per tutta la prima parte, infatti, Petites non è altro che il racconto frettoloso e sconclusionato di un gruppo di adolescenti fumantine e problematiche, particolarmente inclini ai guai, alle risse, alla rabbia esplosiva, un ritratto forzato e a tratti esasperato di quel che potrebbe voler dire essere un’adolescente senza alcun tipo di supporto o affetto. Un obiettivo fin troppo ambizioso per un film di soli novanta minuti.
La caratterizzazione dei personaggi appare incompleta e lacunosa e non perché allo spettatore non vengano forniti gli elementi necessari per comprendere la natura o la complessità di questi, ma proprio perché ciò che il film si prende la briga di raccontare è un argomento talmente complesso e sfaccettato da non poter essere costretto in un film tanto limitato. Persino la protagonista Camille non riesce a pieno a sfuggire a questa problematica. Pur risultando un personaggio più variegato rispetto agli altri, anche la personalità di Camille è, per gran parte del film, tutta basata sul fatto di essere un’adolescente incinta, piena di rabbia, sì motivata eppure esasperante, spinta da un moto di ribellione non bene identificato.
Ciò che però salva il personaggio dall’essere poco più che una macchietta è il rapporto con la piccola Diana (Suzanne Roy-Lerat), una bambina destinata alla casa famiglia e figlia di Alison (Lucie Charles-Alfred), una ragazza negligente e irresponsabile, che non esita a lasciare la piccola per andare a divertirsi. Sarà infatti a partire dal rapporto instauratosi tra la protagonista e la bambina che prenderà avvio tutta quella riflessione relativa all’amore per un figlio che è poi la colonna portante di tutto il film, nonché punto di partenza del quesito attorno a cui questo viene costruito: dare in adozione un bambino può essere considerato un atto d’amore? La risposta è, in questo caso almeno, affermativa. Camille decide così di mettere da parte l’egoismo, decide di dare in adozione la sua bambina per permetterle di crescere diversamente da lei, figlia di una madre che madre non lo è mai stata. Sorella, magari, come Clo prova a far credere a chi le vede insieme. Ma sicuramente non madre.
Camille, durante i nove mesi della gravidanza, si oppone, in modo anche violento, al voler riconoscere la propria condizione. Cerca di nascondersi ma tutto attorno a lei parla di questo, un collage di esempi negativi di gravidanze indesiderate che l’hanno accompagnata fin dalla sua nascita e che trovano in lei l’epilogo. Un cerchio che si interrompe quando la realtà le viene sbattuta in faccia con violenza: una bambina non può prendersi cura di un’altra bambina. E per quanto vorrebbe vivere quel sogno di famiglia felice, non è che l’adozione l’unica scelta sensata da prendere.
Camille porta avanti nel film un percorso di presa di coscienza non da poco che procede secondo il doppio binario dell’esperienza personale e degli esempi altrui, un percorso ben costruito che rimane forse l’unico elemento abbastanza solido per fare del film un prodotto godibile e non privo di una sua logica. Se da una parte la gravidanza di Camille la spinge a scavare nel suo passato, e nel suo fascicolo d’infanzia, dall’altra l’esperienza della casa famiglia la spinge a desiderare per sua figlia molto più di quello che potrebbe avere con lei, convogliando il racconto verso la sua prevedibile conclusione: un’accorata lettera di Camille destinata alla bambina. Un monologo commovente e sentito, ricco di quell’amore incondizionato che forse sarebbe dovuto essere maggiormente presente anche nel resto del film, un’opera che, trattandosi di un’esordio, rimane comunque – seppur con le sue tante debolezze – abbastanza riuscita.
Dal 26 ottobre al cinema.