Peter Rabbit 2 – Un birbante in fuga, recensione: tra pedagogia e infanzia

Peter Rabbit 2 recensione film

Di rado, seppur con graditissime eccezioni, la critica si concentra sulla funzione pedagogica del cinema e delle sue narrazioni. Recuperare questo possibile percorso di significati risulta, dunque, ancor più necessario nell’ambito di quello potremmo considerare il “cinema d’infanzia”, ovvero quel tipo di produzioni cinematografiche che scelgono come target specifico un pubblico di bambini, e dunque per naturale estensione anche quello delle famiglie. Il discorso che qui si intende proporre tiene certamente conto delle categorie di entertainment e di family friendly.

Tuttavia, queste due voci che sembrerebbero essere prerogativa di quel “mostro cattivo” che risponde al nome di industria dell’intrattenimento, andrebbero in realtà re-indagate nel contesto della nobilissima arte di raccontare storie ad un pubblico quanto più vasto possibile. Pertanto, alla luce di quanto appena affermato, non si fatica ad includere dentro questo genere di narrazioni educativo-pedagogiche anche Peter Rabbit 2 – Un birbante in fuga (trailer), sequel diretto del precedente capitolo del 2018, ancora una volta diretto dall’abilissimo Will Gluck.

Questo secondo capitolo dedicato alle avventure di Peter Rabbit (James Corden) e della sua famiglia, i personaggi nati nel 1902 dalla penna e dalle illustrazioni di Beatrix Potter, riesce con garbo e delicatezza a regalare una divertentissima ed acuta variazione sul tema. Infatti, anche dopo il matrimonio di Bea (Rose Byrne) e Thomas (Domhnall Gleeson), Peter deve affrontare la propria reputazione di coniglio birbante e dispettoso. L’incontro con un gruppo di personaggi avvezzi alla cattiveria e all’egoismo porrà Peter di fronte ad un bivio irriducibile su che tipo di coniglio/persona vuole essere e su quali valori comportamentali coltivare.

Peter Rabbit 2 recensione film

Questo sequel, al pari della pellicola precedente, adottando il registro della fiaba, mutua da essa un insieme di figure, funzioni e metafore che costituiscono un universo simbolico e semantico di grande efficacia comunicativa, e perfettamente comprensibile per il linguaggio e il sistema di associazioni di segni di un pubblico di bambini. Il viaggio di Peter alla scoperta di se stesso, il suo perdersi e ritrovarsi, rappresenta, infatti, un exemplum immaginifico e trasfigurato che il bambino intercetta come discorso autoriflessivo.

La costruzione delle gag è esilarante, così come il talento slapstick di Domhnall Gleeson. E la virata su una sottotrama da heist movie conferisce al testo una dinamicità e ritmicità tali da creare una persistenza del senso di meraviglia e di incanto lungo tutto il corso dell’esperienza spettatoriale. Inoltre, sebbene venga sottolineato incessantemente il protagonismo di Peter, ogni personaggio è memorabile, portavoce di gag e di battute micidiali, che per certi versi ricordano i dialoghi fulminanti di Zootropolis (Howard, Moore, Bush, 2016).

Peter, Flopsy (Margot Robbie), Mopsy (Elizabeth Debicki), Coda-Tonda (Daisy Ridley) e Benjamin (Colin Moody) si inseriscono così in un canone di eroi ed eroine animali antropomorfi da cui è difficile congedarsi al termine della proiezione. L’ attuale duologia di Peter Rabbit rappresenta, infatti, non soltanto una piacevolissima opportunità di evasione dalla frenesia del reale, ma anche la ri-mediazione filmica di quella letteratura per l’infanzia che dalla prima metà del XIX secolo e per quasi tutto il XX secolo è stata veicolo e foriera di valori pedagogici e di una morale comportamentale al centro di una vitalità culturale che, in parte, oggi abbiamo perso.

I codici linguistici e le strategie produttive di Peter Rabbit 2 – Un birbante in fuga aderiscono dunque al “cinema d’infanzia”. Tuttavia, questi temi non finiscono con l’infanzia, non concludono, anzi ci riguardano anche, e forse soprattutto, da “adulti”.

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