Come le tartarughe, la recensione: un film per accudire il dolore

Come le tartarughe recensione, accudire il dolore

L’estate a volte porta con sé una grande sete di cambiamento. Guardare Come le tartarughe (trailer) negli ultimi giorni di agosto, potrà aiutarci a trovare una reazione a ciò che non abbiamo ancora visto bene di noi stessi. Quella di Daniele, Lisa, Sveva e Paolo è una famiglia altolocata che abita nel centro di Roma. Nonostante l’agiatezza, la tensione si respira fin dall’inizio. Le cene in famiglia sono interminabili, l’atmosfera è tendenzialmente triste, con una fotografia tendente al grigio e dei costumi dai colori sbiaditi. Lisa (Monica Dugo), la mamma, cerca di riappacificare tutti, Sveva (Romana Maggiora Vergano), la figlia ribelle, fa di tutto per non obbedire alle regole dei genitori. Daniele (Angelo Libri), il padre, cerca in tutti i modi di allontanarsi dalla tavola, mentre Paolo (Edoardo Boschetti), il figlio più piccolo, non può fare altro che assistere, turbato, alla situazione. L’armadio di famiglia, un lungo armadio a varie ante che contiene i vestiti di ogni abitante della casa, (un altro tentativo nascosto di riappacificazione) una mattina si trova con uno spazio vuoto. Daniele se n’è andato, e Lisa, sconvolta, cerca di reagire.

La reazione non è quella che ci si potrebbe aspettare, e dà il vivo alla storia: cosa succederebbe se una donna, per affrontare un dolore, decidesse di chiudersi in un armadio? La regista, sceneggiatrice e attrice protagonista, la stessa Monica Dugo, ammette di aver avuto un’idea piuttosto bizzarra, a cui allo stesso tempo si sente molto legata. L’idea è nata, infatti, in un vero momento di sofferenza dell’autrice, che ha così usato la fantasia per voltare pagina. «Io ero la donna travolta dal dolore e l’idea di ficcarmi dentro un armadio è stata la prima cosa che mi ha fatto ridere. Ho continuato a soffrire, ma pensare al mio armadio e alla possibilità di trovare conforto lì dentro, mi consolava tantissimo e mi faceva sorridere.»

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L’armadio diventa quindi il mondo straordinario della protagonista, in cui essa può dare sfogo ai suoi pensieri e alla sua fantasia. La figlia Sveva è l’unica a mostrare un netto rifiuto verso questa scelta che porta infatti porta ad un’escalation di tensione (tra il comico e il drammatico) tra lei e la madre, in un gioco di contrasti tra due diverse ribellioni. Sveva è schietta, quasi cinica, perché vuole la verità, mentre la madre fa di tutto per vivere nel suo sogno e far credere che esso sia normale. I personaggi sono quasi tutti ben caratterizzati e con una recitazione credibile degli attori, pur trattandosi di un film low budget. Un personaggio bidimensionale però è proprio il padre, un medico che pensa solo al lavoro. Talmente distaccato dalla famiglia e forse dalla trama stessa da essere poco interessante. In poche parole, è un personaggio di cui poco si sente la mancanza, per cui è difficile empatizzare fino in fondo con il dolore della madre.

Il film in generale tratta il tema della separazione con delicatezza, ed è drammatico senza essere necessariamente cupo. Quello che sembra un buffo gioco narrativo, si rivela un gesto simbolico efficace. L’armadio è un luogo di chiusura, ma anche di rinascita. Una crisalide in cui poter rinascere.

Come le tartarughe uscirà nelle sale italiane il 24 agosto.

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