Ultima giornata di concorso al Pesaro Film Festival. Si aprono le tende. La sala è buia. L’attesa cresce. Si chiude un capitolo importante per la stagione cinematografica italiana meno pop, ma forse un po’ più cool. Insieme insieme è il primo film di questo caloroso venerdì, purtroppo, però, non tutte le ciambelle escono col buco. È questo il caso di Insieme Insieme di Bernardo Zanotta, forse il più standardizzato in quanto narrazione e montaggio tra le proposte del festival. La storia ruota attorno a un trio amoroso di criminali che rapiscono e torturano un disgraziato turista. I tre protagonisti vagano in questo spazio italiano senza legge o morale ripresi in uno splendido formato 16mm capace di restituire un’estetica dal gusto vintage e dai colori pastello.
Il gioco che il regista ci vuole proporre è un dialogo col film di genere, mischiando l’autorialità più radicale con il b-movie. Se la riflessione può essere interessante, il risultato non rispetta però le premesse. Il giovane autore non riesce nel suo obiettivo di modellare in modo compatto le idee, facendo risultare spesso confuso il suo scopo di dialogare con la storia del cinema. Forse è troppo ambizioso il tentativo di riassumere in 37 minuti diversi stili, diversi riferimenti culturali e, come se non bastasse, diverse lingue. Arricchire inoltre questa massa di informazioni, già troppo consistente, con varie citazioni dal panorama letterario dona accidentalmente ad alcune scene un tono parodistico. Altra nota stonata su questo pentagramma imperfetto è il montaggio; le evidenti transizioni a nero rovinano il flusso narrativo senza soluzione di continuità, attingendo da un medium che non appartiene al grande schermo. Questa overdose informatica priva la diegesi dell’attenzione che potrebbe meritarsi. La speranza che rimane è che il giovane autore possa comprendere dall’errore del “voler dir troppo” e riesca, nel suo prossimo lungometraggio, ad asciugare la frenesia. È necessario un lavoro di sottrazione, un ritorno alla semplicità; soprattutto se l’obiettivo è quello di aprire una finestra sul passato, che è proprio con queste qualità che ci ha regalato i suoi più grandi capolavori.
Più ci avviciniamo alla fine più i film del Concorso tornano ad una durata per la maggior parte di noi più familiare così, dopo il mediometraggio di Zanotta, concludiamo con Ciompi, il lungometraggio della regista francese Agnès Perrais. Come si intuisce dal titolo, si tratta di un documentario che affronta la storica rivolta dei Ciompi nella Firenze del 1378 attraverso un parallelo con le odierne manifestazioni contro lo sfruttamento del lavoro. D’altronde, come viene affermato nel film, la rivolta dei tessitori di lana non è altro che il primo movimento operaio della Storia e uno dei primi esempi di vinti e non di vincitori. Lo spettatore si avventura quindi per i vicoli del centro storico di Firenze (e talvolta per i quartieri più moderni) per immergersi completamente nel racconto della rivolta, che avviene per episodi scanditi anche più di una volta. Se la prima parte serve ad agganciare lo spettatore all’evento storico, pian piano vengono mostrate immagini e video di manifestazioni e riunioni che ci catapultano ad una realtà più vicina. La transizione, però, è troppo brusca e poco argomentata: l’intervista ad un militante del movimento operaio dovrebbe essere d’aiuto ma, al contrario, aggiunge troppa carne al fuoco. L’utilizzo di diversi formati (si passa infatti dal Super 8 al 16mm con molta disinvoltura) complica ulteriormente le cose e priva il film di una coerenza necessaria per il genere documentaristico.
Ultimo ma assolutamente non per importanza, arriviamo a Non credo in niente di Alessandro Marzullo, film fuori concorso presentato al festival. L’attesa per questo lungometraggio è molta, forse perché ha l’appeal di un cast più conosciuto o forse per il vantaggio (almeno sugli spettatori più giovani che ancora faticano ad entrare in contatto con il cinema sperimentale) dato da una struttura narrativa tutto sommato lineare e comprensibile. Il film contiene alcuni segmenti di vita di tre coppie di amanti e trova la sua ambientazione principale in una Roma notturna quasi irriconoscibile. Il punto d’incontro in cui le diverse trame convergono è un paninaro strampalato che fornisce consigli di vita in pieno stile romano a tutti i personaggi, proprio come il più classico degli aiutanti vogleriani.
Alessandro Marzullo si diverte posizionando la macchina da presa in posti improbabili e molto distanti dagli attori, quasi come se non volesse darci la possibilità di coglierli da più vicino, tant’è che il volto di alcuni personaggi resta un mistero anche dopo l’intera proiezione. In un misto di inquadrature da videosorveglianza (ad esempio quella iniziale in cui vediamo il protagonista steso sul letto da una posizione molto alta) e composizioni affini a quelle dei film di Wong Kar-wai, il regista crea delle immagini estremamente suggestive. Purtroppo, però, non si percepisce la stessa agilità nella sceneggiatura, caratterizzata da una serie di dialoghi validi e alcuni decisamente forzati ed acerbi, indice di poca esperienza nel campo. Ma la carriera di Marzullo è appena iniziata e, sebbene questa sua opera prima non sia sorprendente come ci aspettavamo, resta comunque un prodotto che fa ben sperare sul suo futuro nel cinema.
Di Claudia Teti e Alessandro Viani