Una porta blu, Cavalli e Segugi e una ragazza che sta di fronte a un ragazzo chiedendogli di amarla. Un manuale d’istruzioni per Notting Hill, (trailer) cult di Roger Michell che oggi compie 25 anni dall’uscita in sala. Le peripezie che legano il timido libraio William (Hugh Grant) e la brillante attrice Anna (Julia Roberts) hanno alimentato i sogni di generazioni di spettatori, alternando tradizione di genere con elementi propri di novità. Sarebbe riduttivo ricondurre la vicenda ad uno schema fisso, ripetitivo, già visto: ogni racconto, proprio come nella vita, possiede delle sfumature che la rendono unica e irripetibile.
Notting Hill, infatti, racconta la storia d’amore meno credibile calandola nel reale più reale. Il nostro raziocinio non ci permette di credere che un’attrice di fama mondiale possa entrare in una piccola libreria specializzata in pubblicazioni sui viaggi e possa innamorarsi del proprietario (bisognerebbe chiedere anche a Kathleen di You’ve Got Mail, due indizi fanno una prova). Un amore impossibile che coinvolge dei moderni Romeo e Giulietta. Il racconto della vita dei protagonisti risulta però credibile perchè reso normale dall’esperienza quotidiana, condita dalla goffaggine: l’allampanato coinquilino che si siede sugli occhiali e costringe William ad andare al cinema indossando una maschera da sub fa parte del pacchetto di qualsiasi vita da fuorisede, provare per credere.
I due personaggi principali mostrano, come due magneti, opposti, ma complementari, due sfaccettature della modernità. Anna incarna l’american way of life, è risoluta, di successo, mentre William vive alla giornata, sospeso nell’incertezza. La storia indaga la differenza di classe sociale, la vita ordinaria contrapposta a quella della celebrità, con un tema di fondo comune: l’incapacità dei due di fare i conti con il proprio io interiore e le proprie reali aspirazioni. Una difficoltà comune a tutti gli uomini e le donne di oggi. William sembra soddisfatto della propria quotidianità, sembra non avere altri obiettivi. È stato ferito dall’amore e quindi ha eliminato dalle proprie aspirazioni la possibilità di qualsiasi relazione, indossando un’armatura con cui proteggersi. Anna, invece, porta su di sé il peso di essere famosa, mentre vorrebbe una vita normale in cui essere vista come semplicemente se stessa.
Durante tutto il film, si vedono quindi due libertà a confronto: William è libero di muoversi nel mondo, ma le sue emozioni sono bloccate, mentre Anna non ha controllo sulla sua vita pubblica. L’immedesimazione da parte dello spettatore non si vede, ovviamente, nella specificità della situazione, quanto nel sentimento di base: quante volte, oppressi dalle scelte del quotidiano, si è sognato di cambiare, di riuscire a realizzare i propri sogni, indipendentemente dagli ostacoli. Il cinema ci permette, forse, di vedere la realtà delle nostre condizioni e di cercare soluzioni alternative.
La delicatezza della scrittura si rivede in due scene particolari, poco ricordate, ma fondamentali. La prima vede la rappresentazione del passaggio del tempo, sfruttando l’espediente dello scorrere delle stagioni sulle note di Ain’t No Sunshine di Bill Withers. Descrive la vitalità del quartiere in cui vive il protagonista e i suoi colori, in contrasto con la staticità del suo stato d’animo, profondamente incapace di andare avanti e mescolarsi con le sfumature che lo circondano. Lo stesso concetto viene ripreso e traslato positivamente qualche anno dopo, ne Il Diavolo Veste Prada del 2006: il cambiamento di Andrea è una carrellata di look sempre più sofisticati, adatti alle diverse stagioni, Vogue di Madonna a scandirne il ritmo.
La seconda descrive invece la reazione di William alla decisione di respingere la dichiarazione d’amore di Anna. Il regista sceglie di mostrare i diversi pensieri che si accavallano nella mente del protagonista, facendoli diventare reali nella carrellata di espressioni facciali dei suoi amici. Due modi di entrare in dialogo con l’interiorità dei personaggi, due possibilità per sperimentare con il linguaggio cinematografico: è questa la potenzialità produttiva di questo genere, come scrive Louisa Young sul Guardian, «mentre i colossali film sui supereroi sono costosissimi e complessi da realizzare, le commedie romantiche sono più veloci ed economiche, con effetti speciali minimi o assenti, una logistica semplice e buone opportunità per proporre poi degli spin-off».
Il dialogo tra presente, passato e futuro della commedia romantica si vede soprattutto nella relazione che lega i personaggi ai loro interpreti. Hugh Grant riporta sulla scena dei tratti comuni al precedente “Quattro matrimoni e un funerale”, opera dello stesso sceneggiatore, Richard Curtis. Anche qui il protagonista si innamora di una donna sfuggente che appare e scompare nella sua vita. In Notting Hill, però, sembra esserci una nota più dolce, forse portata dal regista, che ha lavorato su Persuasione, adattamento del celebre romanzo di Jane Austen. Rispetto al precedente, inoltre, lo sceneggiatore ha circondato William di una famiglia di amici più variegata, forse specchio del colore e della musicalità che sembra caratterizzare il quartiere. La quota british humour, insomma.
Julia Roberts, invece, dopo il successo di Pretty Woman e Il matrimonio del mio migliore amico, nel 1999 si contendeva il titolo di fidanzatina d’America con Meg Ryan. Quando però ha ricevuto la proposta di interpretare la protagonista di questo film, come ha dichiarato in una recente conversazione con Curtis per il British Vogue, «ero così a disagio nel dover interpretare un’attrice di cinema! Voglio dire, ne abbiamo parlato così tante volte, ma quasi non ho accettato la parte, perché mi sembrava così imbarazzante. Non sapevo nemmeno come interpretare quella persona». E invece, a posteriori, non si riesce ad immaginare un volto migliore del suo, come dimostra la toccante sequenza di apertura di Notting Hill, dove She di Elvis Costello accompagna immagini di premiazioni e red carpet e la realtà supera la fantasia.
L’impegnata rom-com 2.0
Anyone But You, Ticket to Paradise, Coincidenze d’amore, ma anche Bridgerton, Heartstopper e One Day: stiamo assistendo ad un ritorno, in tutte le sue sfaccettature e per tutte le piattaforme, della commedia romantica (e dei suoi protagonisti, tra volti iconici e giovani promesse).
Waldo Emerson, filosofo americano di metà Ottocento, scriveva che «il suicidio è da considerarsi più rispettabile» della lettura dei romanzi di Jane Austen, non comprendendone il significato. È quindi facile cadere nello stereotipo dei film creati per il pubblico femminile, semplici perché ripetitivi e leggeri, incapaci di rivelare verità fondative perché “parlano d’amore”. In realtà, fin dagli studi di Janice Radway sulla lettura dei romanzi rosa, si comprende come quest’attività possa essere rivelatrice di stereotipi legati al ruolo delle donne in società, oltre a suggerire una presa di coscienza sui propri diritti e sulle battaglie comuni. Questo grido comunitario è stato accolto negli anni ’90 da Nora Ephron, che riprende le donne flipper degli anni Quaranta: le donne indipendenti, lavorano, vanno con le amiche a fare shopping, non vivono in funzione del matrimonio. Sally, Kathleen ed Annie, protagoniste dei suoi tre film, non sono altro che alcuni esempi.
E anche le romcom contemporanee non vedono principesse da salvare o madonnine infilzate, ma donne che si dividono tra la professione e una quotidianità dettata dalle proprie scelte, che non hanno paura di lottare per il proprio piacere o per le proprie frequentazioni. Non sono descritte in maniera superficiale, ma sono specchio della riflessione odierna sul posto che le donne dovrebbero occupare nel mondo. Non si tratta quindi solo dell’ennesimo tassello dell’operazione nostalgica delle arti contemporanee, ma rientra nel tessuto sociale che vede le lotte per la consapevolezza e l’uguaglianza di genere all’ordine del giorno. La commedia romantica, quindi, merita la stessa considerazione degli altri generi cinematografici, in quanto, proprio come il resto della produzione, cerca di riflettere sugli aspetti problematici della contemporaneità attraverso i propri mezzi espressivi.
Notting Hill può essere considerata come una delle “madri” dell’inversione di ruoli e, dall’altra, offre un ritratto delicato dell’umanità che, nella sua versione più spensierata, cerca di sopravvivere alla modernità. «Keep your head up, hold your head up» ci suggerirebbero gli Eurythmics e la loro Sweet Dreams (Are Made of This). Basta che ci sia il lieto fine.
Bibliografia
B. Mernit, Writing the Romantic Comedy, HarperCollins, 2020.
R. Andò, Audience Reader, Guerini Scientifica, 2007.
Sitografia
Return of the romcom: the genre is thriving again – but with new values https://www.theguardian.com/film/2023/apr/15/return-of-the-romcom
The Meet Cute: Julia Roberts Opens Up To Richard Curtis About Her Rom-Com-Perfect Marriage, The Secret To Ageing Gracefully & Why She Almost Turned Down Notting Hill https://www.vogue.co.uk/article/julia-roberts-british-vogue-cover-interview