I 25 anni di Mulan: tra Storia e femminismo

approfondimento 25 anni di Mulan

Il 19 giugno 1998 usciva nelle sale statunitensi Mulan (trailer), film diretto da Tony Bancroft e Barry Cook. È solo una delle tante perle, comprendenti La sirenetta, La bella e la bestia, Aladdin, Il re leone, che la Disney sforna in questo periodo (definito Un Rinascimento). La percezione attuale è quella che i prodotti degli ultimi anni trasudino invece anonimato, che siano degli espedienti per fare due soldi su Disney+, dove spesso approdano senza nemmeno un passaggio in sala. In ogni caso, siamo lontani dai Simba e Ariel dei vecchi tempi. I nuovi personaggi fanno difficoltà ad entrare nella cultura popolare e a restarci. In più, tra infiniti remake e live action, i piani alti sembrano quasi dirci che non ci sono più idee. Lo stesso film di Mulan del 2020 è passato un po’ in sordina tra boicottaggi e critiche. Che la Disney, da sempre marchio di qualità e certezza, stia iniziando davvero a perdere colpi?

Ma dov’è la forza in un capolavoro come Mulan del 1998? Una ricetta che in realtà è la stessa da decenni: una sceneggiatura di ferro, canzoni orecchiabili, un’animazione sempre affascinante che qui riprende le stampe cinesi, personaggi carismatici che si circondano di mascotte simpatiche e su cui poi puntare nel merchandising. Si parla di film immortali, destinati a tutti, proprio perché così stratificati, ben costruiti e che, vedendoli ad ogni età, sono capaci di restituire sempre nuove cose.

Pur vedendo il film ad anni di distanza dalla sua uscita, il tema che salta subito all’occhio è la spinta all’emancipazione femminile. Come in tutti i migliori film d’evasione, contesto e trama non sono che un pretesto per parlare del “qui e ora”. Mulan potrebbe essere davvero definito il primo cartone femminista della Disney, anche se ciò andrebbe detto “con le pinze” visto che il punto di vista sulla storia è quasi del tutto maschile: tra gli sceneggiatori (Rita Hsiao, Chris Sanders, Philip Lazebnik, Raymond Singer,Eugenia Bostwick-Singer) , solo due su cinque sono donne. I restanti comparti ,come quello registico e quello musicale (curato da Jerry Goldsmith, Matthew Wilder e David Zippel) sono praticamente composti da uomini.

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Mettendo da parte ciò e rispolverando la trama per i pochi che non la conoscono ancora, siamo in un piccolo villaggio della Cina imperiale. Mulan, figlia unica della famiglia Fa, si rivela incapace di adattarsi agli standard rigidi di una società che vede le donne come un peso da scaricare da padre in marito. Intanto gli Unni, con a capo Shan Yu, oltrepassano la Grande Muraglia ed invadono il paese. L’imperatore, per la gravità della situazione, chiama alle armi un uomo di ogni famiglia cinese e, tra questi, anche il padre di Mulan che è vecchio ed infermo. Ecco perché, andando contro ogni legge e rischiando la propria vita e l’onore della famiglia, Mulan si traveste da uomo e va a combattere al posto del padre. Dovrà allora dimostrare il suo valore nell’esercito, imparando, però, che non è la forza la qualità che dà valore ad un soldato, e si ritroverà, inoltre, a consolidare la sua astuzia e la sua spinta a mettersi in gioco. Imparerà, soprattutto, che una donna per dimostrare il suo valore dovrà compiere gesta dieci volte più grandi di quelle di un uomo.

Si sa che, se in generale la storia dell’umanità ha un problema con il sesso femminile, in questo, la Cina primeggia ed il film non fa che sottolinearcelo di continuo: nel 1998 era ancora in vigore la politica del figlio unico, volta a limitare l’insostenibile incremento demografico del Paese. Ciò ha causato effetti aberranti, tant’è che i diritti umani venivano visti come un miraggio: era più conveniente avere un figlio maschio, e se fosse uscita fuori una femmina le conseguenze si possono immaginare. Mulan ci apre gli occhi su determinati paesi in cui le donne devono espiare questo “peccato originale” per cui vivere diventa quasi una colpa.

Mulan è una delusione continua per i genitori, non riesce ad adattarsi agli standard della sua società. Tuttavia alla fine salverà la Cina e l’imperatore si inchinerà a lei. Ma siamo sicuri che cambi davvero qualcosa? Per costituzione ed antonomasia il sesso maschile è quello più forte, ma dove si arriva con la forza? La Cina vince proprio perché alle qualità dei maschi imbranati e impacciati che incontra, Mulan aggiunge quelle femminili. Una forza astuta piuttosto che bruta. Il film suggerisce quindi che la vera forza viene fuori dalla cooperazione paritaria dei due sessi, ossia ciò che ogni manifesto femminista non estremista prova a promulgare.

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D’altra parte determinate cose non sono totalmente chiare. Ad esempio, quando si scopre il vero sesso di Mulan, tutti, nessuno escluso, le voltano le spalle, nonostante sia stata lei a fermare il nemico dove persino il Generale più importante della Cina aveva fallito. Tutta la Cina si inchinerà a lei alla fine, ma dentro rimane un’amarezza di fondo. Non è normale che una donna riesca dove un intero esercito ha fallito e, nonostante ciò, è necessario aspettare il riconoscimento di un imperatore per catalogarla come valorosa e non come colei che ha disonorato la sua famiglia. Se lui non le si fosse inchinato, le sarebbero stati riconosciuti i suoi meriti? Il film incarna un po’ quel detto per cui una donna nella vita deve impegnarsi il doppio di un uomo per arrivare agli stessi risultati.

L’interrogativo è tuttora aperto e l’amarezza di fondo rimane: per quanti messaggi si possano lanciare questa disuguaglianza è fattuale e radicata nella nostra cultura così come in molte altre e difficilmente ne verremo fuori se non ci impegniamo. In ogni caso, Mulan resta un film proiettato al futuro: nessun uomo le regge il confronto e sorprendentemente la love story fa solo da contorno, tanto che vediamo la prima principessa Disney privarsi del classico bacio di lieto fine. E, ad oggi, la politica del figlio unico in Cina è stata abolita.

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