L’imprevedibile viaggio di Harold Frey, la recensione: il cammino dell’espiazione

L'imprevedibile viaggio di Harold Frey, la recensione del film

L’ultra sessant’enne Harold Fry (Jim Broadbent) non può che provocare in chi lo osserva un mix di simpatia e tenerezza. L’uomo vive nel Regno Unito, più precisamente a Devon, con sua moglie Maureen (Penelope Wilton), dove i due conducono una vita all’insegna della routine tipica dei pensionati. Un giorno, però, appresa la notizia che una sua ex-collega di lavoro e amica è malata di cancro, lo vediamo uscire per spedirle una lettera e non tornare più a casa. In un buffo parallelismo con la tipica storia del padre di famiglia che esce per comprare il latte e scompare per anni, vediamo Harold bere il suddetto latte direttamente dalla bottiglia mentre, mosso da un sentimento del tutto nuovo, chiama la moglie avvertendola che ha trovato il modo per salvare l’amica: ad ogni passo compiuto nella direzione dell’ospedale in cui è ricoverata, ella vivrà.

Un’ idea decisamente originale quella della scrittrice Rachel Joyce che nel 2014 pubblica il romanzo L’imprevedibile viaggio di Harold Fry (trailer), presto diventato un bestseller. Ciò le ha permesso di curare in prima persona, occupandosi della sceneggiatura, l’omonimo adattamento cinematografico del suo libro diretto della regista Hattie Macdonald. Il suo contributo è fondamentale per la riuscita del film in quanto il viaggio concreto non è altro che un riflesso di quello interiore, e decisamente personale, di Harold che inizia questo, in parte inconsapevole, percorso di rivoluzione con un bambinesco entusiasmo e un’incoscienza tipica dei teenagers.

I primi chilometri sono quelli mossi dal mantra “Tu non morirai, morire non ti farò”, Harold cammina pensando costantemente alla sua missione e gli incontri casuali con inaspettati benefattori non fanno che instillare nell’uomo la convinzione che la sua impresa non è solo possibile ma anche necessaria per dare un senso alla sua esistenza. Al contrario la moglie vive il proposito del compagno come un affronto, un abbandono dolorosissimo che la spinge a rapportarsi con lui freddamente tramite brevi telefonate piene di cinismo e risentimento in cui la donna dice esattamente il contrario di ciò che vorrebbe comunicare.

Il viaggio si fa sempre più intenso, ciò che l’uomo ha represso per anni emerge senza più alcun freno mentre il suo pellegrinaggio si fa sempre meno solitario. Il primo “seguace” è Wilf (Daniel Frogson), un ragazzo di soli diciotto anni che si è rifugiato nella fede cristiana per allontanare da sé vizi autodistruttivi quali alcol e droghe. Un personaggio che dapprima appare disturbare la dimensione quasi spirituale condotta da Harold fino a quel momento ma che, seppur l’utilità della sua presenza sia ridotta a poche scene, rappresenterà un tassello fondamentale per scoprire quali fantasmi tormentano il protagonista.

«Mi ricorda mio figlio» confessa infatti Harold ad una pellegrina del nutrito gruppo che ha iniziato a marciare con lui verso Berwick-upon-Tweed. Gruppo che il protagonista abbandonerà la mattina seguente, con la volontà di allontanarsi da persone che lo seguono in maniera forse troppo superficiale al grido di star camminando per “salvare Queenie”. Un gruppo eterogeneo creatosi dopo che, tramite i social, la storia di Harold è diventata nota.

L’ unica persona che rimane al suo fianco per tutta la durata del viaggio, fisicamente o meno, è Maureen. Possiamo percepire una sinergia tra i due che continuano ad influenzarsi anche, e soprattutto, a distanza. Ad esempio quando Harold, a pochi metri dalla meta, sta per rinunciare è proprio sua moglie, che tanto aveva ostentato il suo viaggio, ad esortarlo a continuare, seppur con la paura di star allontanando il marito ancora di più. Un atto di fede che non risulterà vano per poter far riaffiorare insieme il sentimento originario che li ha legati nel tempo e che è tornato a divampare come una volta.

Il film uscirà in sala dal 5 ottobre.

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