La moglie di Tchaikovsky, la recensione: vedova di un marito in vita

la moglie di Tchaikovsky, la recensione del film

A cavallo tra l’incubo e la nevrosi, la tumultuosa relazione tra Antonina Miljukova (Alëna Michajlova) e Pyotr Ilyich Tchaikovsky (Odin Bajron) ne La moglie di Tchaikovsky (trailer) di Kirill Serebrennikov, qui regista e sceneggiatore, si svela in tutte le sue idiosincrasie, dispiegandosi attraverso un duplice binario: psicosi e realtà che s’incontrano e scontrano in una guerra senza quartiere. Presentato in concorso al 75º Festival di Cannes, il film racconta l’estrema ossessione di Antonina Miljukova per il marito Pyotr Tchaikovsky, tutt’altro che fedele, e si prende la briga di trasporre, attraverso tutti gli espedienti del caso, da una parte il tormento e l’angoscia di una donna che, cieca di fronte l’omosessualità dell’uomo, si strugge fino a cedere alla pazzia e dall’altra la tossicità di una relazione che non è solo quella tra un marito e una moglie incompatibili ma anche quella tra una donna e una società che la vede solo come un nome sul passaporto di un uomo.

La disfunzionalità del rapporto tra Antonina e Pyotr si dispiega man mano nella crescente follia della protagonista, nell’esasperata violenza dei rapporti umani, ma anche attraverso il rapporto di quest’ultima con una classe borghese degradata e degradante che non le concede libertà, rendendola vedova di un marito ancora in vita. Il dramma de La moglie di Tchaikovsky, infatti, non passa solo attraverso un amore – che in realtà è un’ossessione – non ricambiato, ma è innanzitutto un dramma sociale che affonda allo stesso modo radici in un’omofobia dilagante che spingeva gli uomini a nascondere la propria omosessualità cercando “soluzioni” alternative, come il matrimonio oppure nascondendosi nel potere che l’uomo, in particolare il marito, aveva sulla donna.

Sebbene chiunque attorno a lei giustifichi la violenza del compositore, decolpevolizzandolo poiché “ai geni tutto è concesso”, e trovando invece l’unico biasimo in Antonina e nella sua incapacità di avere qualunque uomo come una vera donna, la reale motivazione del dramma sta nello squilibrio di una società intera per cui la realtà è relativa e conta solo ciò che appare. Antonina Ivanovna, in questo, altro non è che una falla nel sistema, una donna che non accetta di nascondersi e di nascondere il proprio matrimonio, pur non rassegnandosi all’illusorietà di questo, pur non lasciandolo andare, pur sacrificando i suoi averi, i suoi figli, la sua intera esistenza e diventando, alla fine, l’unica vittima di un dramma senza via d’uscita e senza possibilità di redenzione, in cui dal punto più basso della follia è impossibile risalire.

La moglie di Tchaikovsky, la recensione del film


Lo spettatore, sin dall’inizio, viene portato a chiedersi cosa sia davvero reale e cosa invece sia sintomo di una mente malata, quella di Antonina Miljukova, cosa sia passato, cosa presente e trascinato con violenza all’interno di uno spazio del racconto che gioca con la psicologia e con i punti di vista. Sebbene sia chiaro infatti che ad essere messa in scena è la personalissima visione della protagonista, ci sono momenti in cui l’istanza filmica irrompe così prepotentemente nel flusso della narrazione da mandare in frantumi l’illusione della soggettività. D’altro canto la scelta di mettere in scena deliri, allucinazioni e sogni della protagonista insieme alla fotografia così nebbiosa, scura, onirica, non difficilmente ascrivibile ad una mente psicotica, vanno sì insieme a costruire le solide basi di un racconto prettamente soggettivo, ma bastano gli sguardi in macchina di Tchaikovsky o la scelta di non svelare direttamente il contenuto del breve scambio epistolare tra i due a mandare in frantumi tale convinzione.

Trascinando anche lo spettatore a prender parte a questo racconto confuso e malato, La moglie di Tchaikovsky è un film che si nasconde dietro lettere di cui non svela il contenuto, ma che allo stesso tempo instaura con lo spettatore un rapporto fatto di sguardi capaci di scavalcare la quarta parete, un film che non si rivela completamente ma che, anzi, si prende gioco di chi osserva facendolo dubitare delle proprie certezze, facendogli credere di essere, proprio come la protagonista, in preda ai deliri. Un film, dunque, capace di far vivere allo spettatore l’illusione di non essere più solo un osservatore ma protagonista della follia.

Dal 5 ottobre in sala.

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