L’estate di Cléo, la recensione: viaggio sull’isola della crescita

L'estate di Cléo, recensione del film di Marie Amachoukeli

Un distacco può far crescere in fretta. Forse il tempo di un’estate o comunque meno di quanto ci mettano nuovi denti a sostituire quelli da latte. Il film di Marie Amachoukeli-Barsacq, L’estate di Cléo (trailer), è stato selezionato per la Semaine de la critique del Festival di Cannes del 2023.

L’infanzia di Cléo (Louise Mauroy-Panzani) trascorre felice in Francia, dove vive con il suo papà ma passa la maggior parte del suo tempo con la tata Gloria (Ilça Moreno Zego) che si prende cura di lei come fosse una figlia. Con la morte della madre, Gloria dovrà tornare alla natia Capo Verde per essere vicina ai figli che crescevano con la nonna. Prima di partire, promette alla piccola che si rivedranno presto e chiede al padre di mandarla in vacanza per l’estate. La calda stagione sarà l’occasione per Cléo di conoscere la terra e la famiglia di Gloria e vivere questo tempo prima dell’addio.

Madri lontane, madri surrogate, nonne chiamate ad essere ancora madri, figli di madri che non ci sono più, figli che rinnegano le proprie madri. Il film è un invito a ripensare il rapporto più naturale del mondo, quello tra madre e figli. Gloria ha un rapporto materno con Cléo che ha perso la madre e ha ricordi solo con la tata. Nel frattempo, i suoi figli sono stati cresciuti dalla nonna mentre lei stava lavorando per mettere su i soldi per costruire il suo alberghetto a Capo Verde. Per questo e per la gelosia nei confronti di Cléo, César (Fredy Gomes Tavares), il più piccolo dei due figli, non la rispetta più e la chiama «puttana». Come un mestiere che si tramanda, nonna Gloria dovrà insegnare alla giovane figlia Fernanda (Abnara Gomes Varela) ad essere madre del suo piccolo nato proprio in quell’estate. Non ci sono le istruzioni per essere madre, ma una ninna nanna è sempre un metodo per far smettere di piangere i neonati, a Capo Verde come in Francia. In entrambi i luoghi, i padri sembrano non esistere o sono inadatti al ruolo. L’unico padre del film è quello di Cléo, Arnaud (Arnaud Rebotini), amorevole se si tratta di comprendere i disagi della figlia, ma che la lascia fino a tardi con la tata e si dimentica di andarla a prendere a scuola. Il piccolo neonato, invece, non ha un padre e Fernanda, spaventata, se ne fa carico da sola. Sembra che la figura maschile che più si avvicini all’essere padre è quella del capoverdiano al fianco di Gloria, ma è un personaggio fin troppo dimenticabile.

L'estate di Cléo, recensione del film di Marie Amachoukeli

Le lenti degli occhiali di Cléo, così grandi per il viso di una bambina, plasmano la nostra vista e il ricordo dell’infanzia non ci sembra poi così lontano. La miopia non ci fa vedere oltre i dettagli e rende i visi enormi, e insieme i movimenti della camera a mano creano disorientamento, che è un po’ la sensazione che deve provare Cléo in quel magma di nuovi stimoli. Infatti, sull’isola deve imparare a nuotare, a conoscere una nuova cultura che allontana gli spiriti maligni con le forbici, a condividere l’amore di Gloria, che prima era tutto per lei, anche con gli altri, non prima di aver provato una giustificabile gelosia. Dietro il capriccio di una bimba di sei anni c’è il suo grande timore di essere lasciata sola; il suo incubo la vede perdersi tra le lenzuola stese al sole senza riuscire più a raggiungere la voce della sua tata. Questo brutto sogno è composto di immagini animate, che tornano a intervalli sullo schermo e sono lo spazio in cui i traumi vengono affrontati, le paure esorcizzate e il futuro viene pre-visualizzato per essere pronti alle nuove sfide della vita. Sotto i ventiquattro frame per secondo gli stacchi sono ben evidenti e così ci si può perdere in ogni singolo quadro, nella ricchezza di quei colori che sembrano rubati dalle tavolozze di Gaugin e Matisse.

Conoscendo un nodo cruciale dell’infanzia di Cléo, ci chiediamo qual è l’estate in cui siamo cresciuti, quali sono i distacchi che ci hanno cambiato, quali i viaggi fisici o metaforici in cui abbiamo analizzato noi stessi. L’isola di Capo Verde c’è e li si cresce: non portateci Peter Pan!

Al cinema dal 21 marzo.

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