Sopravvissuti, la recensione: al valico del lutto

sopravvissuti, la recensione del film

Un fantasma cammina senza fare rumore sulla neve. Chereh (Zar Amir Ebrahimi), profuga afghana, rompe il vetro della finestra della baita alpina di Samuel (Denis Ménochet); ed incontra un uomo in fuga come lei. Samuel è in lutto per la morte di sua moglie; sommerso dal dolore, disorientato di fronte alla figlia piccola che lui stesso non sa come aiutare ad affrontare la perdita, si nasconde nella sua casetta isolata al confine con l’Italia. Chereh piomba nella sua vita, a fiato corto e con la polizia alle calcagna, e – seppur recalcitrante – Samuel accetta prima di mostrarle la strada per il valico; poi, invischiato in una storia che lo coinvolge più di quanto lui stesso vorrebbe ammettere, di accompagnarla oltre il confine, rischiando la vita.

Sopravvissuti (trailer) è il primo lungometraggio del giovanissimo Guillaume Renusson, che sulle note ansiogene di un thriller racconta un viaggio di migrazione che s’incontra con quello di redenzione e rinascita di un uomo. Le Alpi d’inverno, aspre e impietose, diventano un luogo senza legge dove la polizia non è che un pericolo, e le milizie xenofobe si fanno giustizia da sole, contro i migranti che con il loro disperato passare sembrano impedire l’afflusso turistico dei paesi montani.

La primissima parte del film riesce a tenere un ritmo serrato, quasi strozzante: la magistrale colonna sonora a opera di Robin Coubert provoca un prurito di inquietudine impossibile da ignorare, e la sensazione costante che qualcosa sta per accadere. Una volta che accade, tuttavia, tende a finire in una sorta di bizzarra ripetitività: ogni volta che Chereh e Samuel riescono ad andare oltre nel loro viaggio, a sfuggire al sadico gruppetto che li insegue con cane e carabina e a trovare un rifugio dove riposarsi e curarsi le ferite, nuovamente questo viene scovato, e i due sono costretti a ricominciare la loro corsa contro la morte – o le autorità. Se inizialmente questo stratagemma contribuisce al crearsi di un’atmosfera stringente ed inquietante, a non lasciare mai che ci si rilassi troppo sulla poltrona, dopo un po’ diviene ripetitivo: e quindi tragicamente prevedibile, perdendo molto del suo impatto.

Sopravvissuti recensione del film DassCinemag

A contribuire a questa perdita va il piccolo gruppo di personaggi italo-francesi che si decide, fiaccole e forconi, a cercare Chereh per tutto il valico, con una rabbia cieca che li deforma nelle fattezze di predatori assetati di sangue. È una realtà, la loro, che – come ha confermato Renusson durante la piccola conferenza stampa tenutasi in seguito all’anteprima, presso l’Institut Français Centre Saint-Louis – esiste veramente: sulle Alpi, si aggirano gruppi sostanzialmente para-militari che si arrogano il diritto di farsi giustizia contro chi cerca disperatamente di raggiungere Briançon, la prima città oltre le montagne. Eppure queste dinamiche agghiaccianti non riescono a trasparire bene sullo schermo: quello dei tre inquisitori appare più come un caso isolato, del quale non si riescono a cogliere bene le motivazioni. Ancora una volta, quindi, il messaggio purtroppo perde quella potenza che pure era insita nelle sue intenzioni.

L’intento de Sopravvissuti non è esclusivamente né perentoriamente politico. Di Samuel non sappiamo nulla; non è un uomo di destra che cambia confessione né uno di sinistra che si sacrifica con consapevolezza e decisione. Egli è semplicemente un uomo che ha perso qualcuno e riconosce in Chereh una sua simile. Fra il gelo che uccide e la polizia e le milizie che non sono da meno, i due camminano nella notte alpina, sostenendosi a vicenda per affrontare i metri di neve davanti, i loro passi hanno lo stesso ritmo, e a marciare non sono più due corpi, ma un’unica persona.

All’improvvisa partenza di Chereh resta un po’ di amaro in bocca, sia a noi che a Samuel che non l’ha potuta salutare, un po’ perché questo film ha il coraggio (non da poco), in un momento storico in cui l’indifferenza alle tragedie della migrazione regna sovrana, di raccontare anche i lati di cui ci vergogniamo di più a parlare. Ed è un peccato quindi che a volte inciampi o riveli delle mancanze difficili da ignorare, perché è un film di cui abbiamo disperatamente bisogno.

Dal 21 marzo al cinema.

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