City Hall, la recensione dell’ultimo film di Frederick Wiseman

Il cinema di Frederick Wiseman ha sempre toccato vette alte, anche irraggiungibili potremmo dire. Partendo però, e qui avviene quel cortocircuito che rende sempre più affascinante l’intera settima arte, da cose “semplici”. Sia per quanto riguarda la messa in scena sia per l’oggetto della sua ripresa: luoghi pubblici come palestre o biblioteche o interi quartieri; e in essi ogni volta trova, nella medesima ripetizione dell’atto dell’osservazione da debita – ma sempre coinvolgente – distanza, una spinta vitale prodotta prima dal movimento dell’uomo in essi e poi dalle immagini che verranno catturate. City Hall (trailer) non è che l’ennesima prova di tutto ciò.

Presentato fuori concorso a Venezia77 e fresco di elezione di “film dell’anno” da parte della redazione dei Cahiers du cinéma, City Hall è un viaggio di quattro ore e mezza che parte dal municipio di Boston – città natale del regista – e arriva ad investire tutta la metropoli del Massachusetts. Ancora una volta dunque azioni quotidiane: colloqui, tavole rotonde, commemorazioni, inaugurazioni, raccolte fondi, ecc. Ma mai come in questo caso, come fa notare Donatello Fumarola (autore di Fuori orario) nell’incontro con Wiseman tenutosi durante la rassegna “Venezia a Napoli”, emerge un protagonista che non è prodotto dell’azione dell’uomo, bensì l’uomo stesso: il sindaco di Boston, il democratico Martin J. Walsh. Nucleo dell’organo amministrativo, con il passare dei minuti diventerà anche il centro del film, anche quando sarà fuori campo. Il suo messaggio è principalmente quello di ascoltare i cittadini, caratteristica che coincide con la natura di molti dei film di Wiseman.

Gli scambi di opinioni sono di certo la parte più interessante del documentario, non solo per il contenuto specifico quanto per le modalità nelle quali avvengono: nel pieno rispetto reciproco tra le parti, tra autorità e comunità. C’è spazio per ascoltare la voce di tutti, in primis per capire quali passaggi seguire, in un secondo momento, per migliorare l’immagine della città e progredire in quanto comunità. Anche in opposizione al secondo grande “fuori campo” del film: Donald Trump. Pur venendo tirato in ballo solo un paio di volte, l’ormai ex presidente degli USA riecheggia in ogni dialogo, come la “nemesi” da non seguire, la grande minaccia che vuole ostacolare il progresso. Il montaggio mostra dunque l’alternarsi di confronti, di dialoghi, all’effettiva realizzazione di ciò che verrà pianificato “sulla carta”. Aspettativa e realtà. Per tradurla in termini cinematografici, potremmo dire benissimo “causa ed effetto”. Il cinema, di conseguenza, al suo livello più essenziale.

Ma facciamo un passo indietro. L’immaginario che verrà. Ingaggiando una lotta contro il tempo, Wiseman per l’ennesima volta, attraverso delmateriale che, essendo filmato, è già appartenente al passato, guarda verso il futuro. City Hall, grazie alla sua enorme portata di film “civico” (prendendo in prestito una parola che si sentirà spesso nel film), oltre che essere un bell’affresco di Boston, è anche un grande film “che verrà”, le cui immagini vivono in stretta relazione con l’immaginario e le emozioni che produrranno nello spettatore.

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