Lei mi parla ancora, la recensione: l’immortalità di un amore eterno per Pupi Avati

Lei mi parla ancora copertina

Se si volesse avere un’idea di quale sia il senso di Lei mi parla ancora (trailer), si dovrebbe pensare a un viaggio che duri tutta un’eternità e che sia universale. Nonostante tutto, ciò non basterebbe ugualmente per avvicinarvisi. Dopo Il Signor Diavolo, Pupi Avati si reinventa in un genere del tutto opposto, firmando un’opera, su Sky dall’8 febbraio, che non si potrebbe definire altrimenti che dolcissima.

“Alla vigilia del cambiamento della sua vita, la giovane Caterina scrisse una lettera al suo futuro sposo. In quella lettera gli prometteva che, dandosi reciproco e infinito amore, sarebbero stati immortali”. Questa la frase di apertura del film, ripetuta spesso durante il suo svolgimento, insieme un’anticipazione e un’estrema sintesi. In effetti, la storia nasce dall’assenza di Rina (Stefania Sandrelli) e dal bisogno di Nino (Renato Pozzetto) di continuare ad avvertirla vicino a sé, in una forma diversa, ma non meno reale. Nasce anche dalla preoccupazione della figlia di Nino e Rina (Chiara Caselli) che la fine di una vita insieme possa essere devastante per suo padre. Ma lei non capisce che i suoi genitori credevano davvero nelle parole scritte in quella lettera, perciò non avevano paura di una separazione terrena: sarebbe stata momentanea e mai definitiva, perché loro erano ormai diventati immortali.

Lei mi parla ancora arriva fino al cuore di questo grande sentimento che è l’amore. Punta tutto su un valore che è ormai, purtroppo, dimenticato e, cosa peggiore, sottovalutato: la possibilità che questo possa davvero essere eterno. Naturalmente, come in ogni narrazione, è presente l’opposizione, l’elemento di scontro che faccia da motore all’azione. In questo caso, detto “antagonista” si ha nel ghost writer che viene scelto per scrivere la storia di Nino e Rina, Amicangelo (Fabrizio Gifuni), uno scrittore in cerca di soldi e visibilità, con alle spalle un divorzio da un matrimonio durato solo tre anni e una figlia per cui non è molto presente, anche se le vuole un gran bene. Ma quello con Nino è un incontro che, nonostante le difficoltà iniziali e i numerosi contrasti, è destinato a cambiarlo nel profondo.

Si notano due grandi e incisive presenze all’interno di Lei mi parla ancora. Innanzitutto, vi è quella femminile: la protagonista, la giovane Caterina (Isabella Ragonese), che rivive tramite i ricordi di Nino; la famiglia del giovane Nino (Lino Musella), composta da tre sorelle, la madre (Serena Grandi) e la zia un po’ acida; le domestiche, cui nel film va il ruolo di prendersi cura dell’anziano datore di lavoro, della casa e del nuovo ospite; la figlia di Nino e Rina, già citata, che è la vera forza della famiglia, molto più di suo fratello. Anche la colonna sonora, che si regge fondamentalmente su due canzoni, sembra sottolineare l’importanza della donna: una è Malagueña Salerosa dei Radio Boys, che parla di una ragazza bellissima di cui il cantante è innamorato; un’altra è Non partir, che fa da sfondo ai balli di Nino e Rina nel loro passato e che prevede, in un certo senso, il presente che viene raccontato.

La seconda presenza è più significativa se si prende in considerazione l’immaginario avatiano: i bambini. Gli eventi più importanti nei ricordi di Nino sono proprio quelli in cui sono coinvolti i suoi figli, come una sera al cinema con sua moglie e suo figlio ancora piccolissimo o il momento in cui Rina gli comunica di aspettare per la seconda volta; tre bambini sono presenti al giro di condoglianze dopo il funerale di Rina, gli unici a portare un fiore bianco al povero marito; la figlia di Amicangelo, infine, è la leva del cambiamento radicale che avverrà nell’animo dello scrittore. Ne Il Signor Diavolo i bambini rappresentavano il Male: qui, invece, sono il simbolo di un qualcosa di assolutamente puro e positivo.

Nel suo complesso, Lei mi parla ancora è il risultato davvero commovente dei racconti e della vita di una generazione che sembra tanto lontana da quella nuova, ma che cerca un dialogo costruttivo e continuo. Grande merito è anche la presenza di un narratore d’eccezione: Dario Penne, con la sua voce profonda che strega e fa sognare. Magari si possono notare piccole pecche nei dialoghi, che sembrano leggermente forzati in alcuni punti, ma non stonano nemmeno le ridondanze tematiche che vengono affrontate, tanto è omogenea la mescolanza tra presente, passato e dimensione onirica.

Dopotutto, “L’uomo mortale non ha che questo di immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia”. Questa, citazione di Cesare Pavese, è la chiusura di un film che parla da sé, che trasmette il suo messaggio in modo forte e chiaro. E poco importa che sia la trasposizione (d’altra parte fatta in modo molto sapiente e intelligente) di un libro, Lei mi parla ancora – Memorie edite e inedite di un farmacista, scritto da Giuseppe Sgarbi, padre del noto Vittorio, nel 2014. Lei mi parla ancora di Pupi Avati è talmente universale da non aver bisogno di referenzialità, perché non parla di una coppia, ma di tutte quelle che si amano di un Amore vero e incorruttibile. E, se le nostre storie sono anche la nostra eredità, Avati non avrebbe potuto lasciarne di più dolci.

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