#ImmaginariaFilmFestival20: Seconda giornata

immaginaria film festival, ventesima edizione

Immaginaria Film Festival è il primo festival internazionale di cinema indipendente a tematica lesbica e femminista in Italia, fondato a Bologna nel 1993. Lo scopo del festival è quello di portare sullo schermo lo sguardo di donne audaci, registe indipendenti che con le loro storie coraggiose e ribelli si pongono l’obiettivo di cominciare a piantare un seme per costruire un mondo migliore.

Noi di DassCinemag siamo qui per riportarvi alcune tra le visioni più interessanti tra quelle viste durante l’evento.

WE WERE DANGEROUS (2024; J. Stewart-Te Whiu)

We Were Dangerous (trailer) inizia nel 1954, in un istituto neozelandese consacrato alla correzione di giovani strappate alla strada. Qui tutto ruota attorno a tre regole: cristianizzare, civilizzare e assimilare. L’opera colonizzatrice agisce su tutti i settori della società e, naturalmente, quello dell’istruzione è uno dei terreni più fertili per disseminare le dottrine britanniche. La vita delle giovani protagoniste procede silenziosamente tra le mura del collegio femminile fino a quando una notte tre ragazze tentano una fuga fallimentare sui ritmi incalzanti di Escape di Cam Ballantyne. L’atto di ribellione scatena conseguenze inaspettate: le ragazze vengono trasferite su un’isola deserta che diverrà la nuova sede degli abusi perpetrati dalla Matrona (Rima Te Wiata), la direttrice del collegio. 

Tra paesaggi desolati, insegnamenti privi di senso, balli di ribellione e capanne fatiscenti, assistiamo al percorso di crescita delle protagoniste Māori Nellie (Erana James) e Daisy (Manaia Hall), a cui presto si unirà Lou (Nathalie Morris), rispettabile europea bianca mandata sull’isola perché colpevole di un crimine misterioso. La Matrona parla continuamente di redenzione e disciplina, eppure le giovani vivono con “educatori” che non mostrano alcuna fiducia o compassione nei loro confronti. I soprusi sono fini a se stessi e non le condurranno verso un brillante futuro. Poste davanti a quest’amara realizzazione, alle protagoniste imprigionate sull’isola non rimane che ritirarsi nelle proprie tradizioni e trovare un modo per ostacolare gli esperimenti cui sono sottoposte: queste coraggiose guerriere non concepiscono la resa alla Gran Bretagna che, dopo la terra, si vuole appropriare delle loro menti e dei loro corpi.

Magnifico debutto registico di Josephine Stewart-Te Whiu, dagli stessi produttori di Jojo Rabbit (tra cui figura Taika Waititi) giunge un’opera di resistenza espressa nei piccoli atti di libertà prima che nei grandi, nelle risate sfacciate, nei balli improvvisati, nelle parole māori che custodiscono il cuore pulsante del film. We Were Dangerous è brutalmente delicato, un progetto che si addentra nel tema della soppressione dell’identità culturale, e della resistenza perpetrata attraverso una fiducia irriducibile nei rapporti di sorellanza nati sull’isola e temprati dalle mostruosità sopportate. Il lungometraggio è un inno al diritto di proteggere la propria cultura e all’amicizia rinnovata dai gesti silenziosi e colossali che le donne compiono per amore l’una dell’altra.

Di Noemi Mosca.

LESVIA (2024; T. Hadjidimitriou)

Lesvia, recensione DassCinemag

Comunità come campo di ricerca identitaria, posto sicuro per la totale manifestazione del sé. Comunità come luogo di scambio tra generazioni differenti, in cui possibile si rende l’interfacciarsi tra varie modalità di decostruzione del genere e di espressione sessuale, nonché un’armonica convivenza fra corpi – tutti messi a nudo – che valorizzano ciascuno l’esistenza dell’altro, ciascuno il profilarsi dell’altro.

Lesvia – documentario la cui appassionata realizzazione ha richiesto alla regista greca Tzeli Hadjidimitriou 13 anni, investiti in determinata ricerca storica e artistica – racconta e, contemporaneamente, ricostruisce i quarant’anni – dal suo originarsi ai giorni nostri – della comunità lesbica, oggi, più propriamente, una comunità queer, che dalla fine degli anni Settanta si è raccolta sulle spiagge di Erassos, piccolo centro abitato sull’isola di Lesbo, sotto la spinta di una comune fascinazione verso la mitica figura della poetessa Saffo.

Quella di Hadjidimitriou è un’opera che, con disinvoltura, sa connettere con la vita percettiva ed emozionale dello spettatore. Ne intercetta l’attenzione, innanzitutto, con la bellezza delle immagini, il cui merito va alla stessa regista – per Lesvia anche direttrice della fotografia – e di cui protagonisti indiscussi sono, oltre alla comunità raccontata, l’isola di Lesbo e il blu brillante del Mar Egeo, imbevuti di intensa luce estiva. Ciò che, però, su tutto, finisce per convincere irrevocabilmente lo spettatore a lasciarsi accompagnare nel percorso storico ed emotivo tracciato da Hadjidimitriou è la poetica, sentita e nostalgica celebrazione dello spirito comunitario che il film mette in atto, spirito del cui desiderio il pubblico si anima a sua volta.

Il palpabile pathos che permea Lesvia dipende primariamente dall’importante apporto personale da parte dell’autrice, che intrattiene con la comunità ritratta un intimo legame e della quale, pertanto, offre una testimonianza diretta. Lo fa, ad esempio, rivolgendosi allo spettatore in voice-over: Fra le voci e i racconti di altre donne passate per Erassos, la regista introduce il film ed interviene più volte nel corso della narrazione, per metterne in evidenza gli snodi principali. La testimonianza diventa ancor più diretta nel caso di inquadrature statiche su paesaggi naturalistici, che fanno da sfondo ad estratti di diario in cui Hadjidimitriou stessa raccontava l’impatto che la comunità stava avendo su di lei man mano che ne sperimentava gli effetti.

Dunque, è anche grazie agli elementi sopracitati, nonché ad un sapiente montaggio di materiali audiovisivi di varia natura e datazione (fotografie scattate e riprese realizzate all’epoca in cui la comunità lesbica di Erassos si stava costituendo, accanto a fotografie e riprese realizzate oggi), che quella di Lesvia si rende una visione estremamente preziosa, un viaggio esplorativo nel cuore di una delle tappe più significative nella storia della costruzione dell’identità lesbica.

Di Francesca Protano.

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