Il più bel secolo della mia vita, la recensione: i figli sono di chi li ama

In Italia, se non sai chi sono i tuoi genitori biologici, per lo Stato probabilmente non lo saprai mai: la legge ti consente di conoscerne l’identità solo al compimento del centesimo anno di età. Giovanni (Valerio Lundini), per conto della sua agenzia di adozioni, prova a far cambiare questa legge e va a trovare l’unico centenario non riconosciuto alla nascita ancora in vita, Gustavo (Sergio Castellitto). Solo che lui ha smesso di cercare la mamma ormai tanto tempo fa.

Il più bel secolo della mia vita (trailer), presentato in anteprima alla 53esima edizione del Giffoni Film Festival nella sezione Generator +18, è diretto da Alessandro Bardani. Gabriele Mainetti è il produttore creativo con la sua Goon Films, e la sua impronta su qualche soluzione narrativa si sente. La regia di Bardani, invece, alla sua opera prima, tentenna su certi passaggi che, a lungo andare, risultano statici. Sarà perché il film è tratto da uno spettacolo teatrale (peraltro scritto dallo stesso Bardani), ma a volte i dialoghi sembrano davvero infiniti e poveri di soluzioni visive, si rischia di sbadigliare.

In ogni caso, si può stare sicuri che, entrati in sala, si passeranno due orette piacevoli. Si ride di gusto e senza mai appoggiarsi alla volgarità. È una risata intelligente, a volte al limite dell’assurdo, che si accompagna ad altrettanti momenti malinconici, che trasudano vissuto reale, immagini simili agli aneddoti che sentiamo dai nostri nonni. Non è un film comico: la risata, dal sapore pirandelliano, dopo averti divertito lascia lo spazio per riflettere. Ma attenzione a riflettere troppo perché si rischia d’incupirsi.

Il film si apre in bianco e nero (stupenda la fotografia di Timoty Aliprandi), con un Gustavo bambino che, furioso perché la mamma non lo verrà a prendere mai, se la prende con un crocifisso e gli spacca un braccio. Una scena dalla comicità a dir poco irriverente. Poco dopo si scopre che vive in un orfanotrofio gestito da suore. Si passa allora a Gustavo, ormai vecchio, che però ancora vive con le suore, un po’ a chiudere il cerchio della vita di un uomo nato solo e probabilmente destinato a morire da solo. Un uomo che non ha nulla da perdere ormai.

L’accoppiata Lundini – Castellitto funziona in modo geniale. Se da soli i due sono già spettacolari, insieme hanno una chimica irresistibile, quasi come un duo che fa questo ormai da anni. Tra un make-up che rende Castellitto quasi irriconoscibile, e la sua prova attoriale sublime, Gustavo ne esce come il personaggio vincente del film: gli vuoi bene, leggi nei suoi occhi mille ricordi e la voglia di vivere di un ventenne. Lundini, per la prima volta protagonista sul grande schermo, forse non regge troppo bene il confronto con l’altro mostro della recitazione, ma funziona comunque. 

I bei momenti abbondano e, cosa più importante, il film rimane integro nel portare dei valori significativi, soprattutto ascoltando le necessità di un Paese. La legge 184 del 1983, anche conosciuta come legge dei cent’anni, va cambiata, a fronte di 400mila cittadini italiani che oggi si chiedono di chi siano figli (se non altro per poter prevenire malattie ereditarie, come specifica il film nei titoli di coda). L’Italia, messa a confronto con gli altri paesi europei sviluppati, è rimasta indietrissimo. Un montage coi più svariati filmati d’epoca accompagna i titoli di testa e prova a farci commuovere, un po’ a raccontarci quanto è lungo un secolo. In cent’anni il mondo ha completamente cambiato la sua faccia ma il piccolo Gustavo ancora non sa chi è sua madre.

Il film prende posizione di fronte a un Paese dalla burocrazia soffocante, pieno di leggi assurde che non servono a nessuno e mettono solo paletti al progresso: è esemplare che Gustavo sia l’unico figlio non riconosciuto ad aver superato i cent’anni, è quasi una figura mitologica. Giovanni dice che «siamo tutti in lotta contro un ergastolo invisibile» e nessun’altra frase potrebbe spiegare meglio questa legge 184. E se il film si auspica il progresso, ecco che invece assistiamo a un governo che aggiunge sempre più limitazioni, come se l’Italia non stesse affrontando un periodo già abbastanza difficile.

Gustavo dice che «I figli non sono di chi li fa ma di chi li ama». Per quanto sia giusto cercare le proprie origini, non bisogna dimenticare che non è il sangue a creare legami, ma l’amore e la cura che dedichiamo all’altro. E andatelo a dire alla procura di Padova, che lo scorso mese ha cancellato dagli atti di nascita decine di genitori di famiglie arcobaleno, punta dell’iceberg di una lotta ideologica che non si sa dove ci potrà portare. Senza espliciti schieramenti politici o pesantezze di altro tipo, Bardani dirige una commedia apparentemente leggera per ritrarre un Paese che ha bisogno di amore, un bicchiere di vino e qualche risata in più. E chissà che la via dell’arte non sia proprio quella giusta per iniziare.

Il più bel secolo della mia vita esce nelle sale il 7 settembre.

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