Quando chiesero a Orson Welles chi fossero, secondo lui, i tre più grandi registi di tutti i tempi rispose, non a torto, «Ford, Ford e Ford». Mancava uno studio divertente, critico, aneddotico, rigoroso e non per questo totalmente accademico su John Ford nell’ambito del mercato editoriale italiano. E il bel volume di Alberto Crespi (272 pg.) pubblicato da Jimenez Edizioni, colma definitivamente questa lacuna. Certo, l’autore, critico de la Repubblica e storica voce del programma Hollywood Party (Radio 3), non intende sostituirsi agli ottimi studi anglosassoni pubblicati negli ultimi decenni, come quelli di Ted Gallagher o dei registi Peter Bogdanovich e Lindsay Anderson. Il volume parte proprio da un aneddoto personale su Anderson. Nel lontano 1988, l’allora giovane autore si accingeva a scrivere un libro sul regista-maestro del Free Cinema inglese, per la collana Il Castoro Cinema; si recò quindi a Londra per intervistare Lindsay e da quell’incontro nacquero anche ottime discussioni su Ford che illuminarono ulteriormente Crespi, già amante incallito del regista americano sin da bambino.
Tornando al libro, possiamo dire che l’intenzione di scrivere un semplice, ma sentito, atto d’amore nei confronti del cineasta simbolo del western americano non è tradita dai risultati. Diviso in undici capitoli tematici, Il mondo secondo John Ford perlustra da cima a fondo la carriera del regista. Lo fa in modo divertente: ogni capitolo è introdotto da un personaggio del film Ombre rosse che “simboleggia” l’argomento trattato. I rispettivi capitoli L’uomo fordiano, La donna fordiana, L’Irlanda, Ford e la politica, Ford e la legge, L’esercito e la guerra, Ford ‘the comedian’, Il Sud, L’alcol, Gli indiani e La Monument Valley e la poesia di John Ford, diventano quindi una macroscopica mappatura della cifra filosofica dei film presi in esame oltre che degli eventi più importanti che hanno segnato la carriera del cineasta, senza tuttavia scavare troppo nel privato per evitare giustamente di trascendere in mediocri risvolti di pettegolezzo alla Kenneth Anger. Classici quali Furore, Sfida infernale, I cavalieri del nord-ovest e Cavalcarono insieme sono sottoposti a una seria ricollocazione nel loro contesto storico, cinematografico e ovviamente tecnico. Particolarmente brillanti le riflessioni sul montaggio, nelle quali Crespi accosta addirittura Ford a uno dei più grandi geni sottovalutati del cinema di sempre, l’armeno Artavazd Pelešjan, attraverso un efficace parallelismo; quella di usare la stessa inquadratura nello stesso film più di una volta. Una tecnica che, nei film sperimentali di Pelesjan, viene denominata “montaggio a distanza” ma che, in un film “canonico” occidentale finirebbe per sembrare un errore, ma che In un film di Ford, secondo l’autore, “è una rima”.
Grazie a questo libro possiamo permetterci di osservare con un punto di vista attento e acuto molti film di Ford in parte obnubilati da quelli più celebri come Ombre rosse, Sentieri selvaggi, e L’uomo che uccise Liberty Valance. Il regista americano di origini irlandesi ha anche diretto film di respiro drammatico tipo Com’era verde la mia valle (1941), L’ultimo urrà (1958, con un formidabile Spencer Tracy) e Missione in Manciuria, il suo ultimo lavoro girato nel 1966. Altra tesi del libro è la demolizione di alcuni falsi miti del western fordiano, dal machismo dei personaggi maschili al presunto razzismo di Sentieri selvaggi nei confronti dei nativi americani. E non poteva essere trascurato il versante politico; libertario ma allo stesso tempo conservatore, Ford non fu un “uomo di potere”, di sistema, come certa critica “intellettualoide” affermò. Era una mente pensante, con il mito di Lincoln e allo stesso tempo sostenitore di Nixon e dell’invasione del Vietnam, che non mostrò simpatie per il comunismo ma che allo stesso tempo si rivelò scaltro osservatore della condizione umana, anche nei suoi western apparentemente più spensierati e avventurosi. Insomma una vera e propria radiografia del vero spirito umano e artistico di un cineasta simbolico e iconico, snobbato da Quentin Tarantino, ma osannato e amato da Steven Spielberg, che in tempi recenti ha voluto rendergli omaggio in una scena bellissima del suo ultimo film The Fabelmans (2022) dove Ford è sorprendentemente interpretato da David Lynch.
Crespi si sofferma, come già detto, su più film possibili della vasta filmografia fordiana, spendendo tuttavia pochissime parole sui primi western muti di Ford andati perduti, per i quali sarebbe stata quindi impossibile un’analisi critica e che meriterebbero comunque un volume a parte. Ben 41 dei 56 film che Ford ha infatti girato dal 1917 (anno del suo debutto) al 1925 oggi sono completamente irreperibili, e lo sforzo delle cineteche di mezzo pianeta per recuperali pare si stia rivelando vano, purtroppo. Ma il libro è ampio e soddisfacente, proprio perché privo di incrostazioni retoriche e intellettuali che avrebbero tradito lo spirito del volume, ovvero quello di un viaggio nel mondo americano, nel cinema e nel western, genere al quale l’autore ha dedicato, sempre in questi mesi, un altro libro, ovvero Cinema western edito da Treccani, altra consigliatissima lettura.