Holy Spider, la recensione: il velo sotto la ragnatela

Holy Spider

Nel cuore della notte lo sguardo allo specchio restituisce gli occhi di una donna, una donna come tutte le altre. Degli occhi che si chiudono, prima di accogliere il colore del trucco, prima di uscire tra le strade per vendere il proprio corpo. Ma quella donna non è, all’apparenza, come tutte le altre: porta l’hijab, il velo attorno al capo, che si sforza di far stare sempre al suo posto. E quella non è una città come le altre: è Mashhad, città santa dell’Iran. Ma neanche quella notte è come le altre, semmai più buia e insidiosa. Un buio che trascina la donna nella morsa del predatore sbagliato, una morsa che si serra attorno alla sua gola.

È una rete che attanaglia, fin dalle sue prime sequenze, quella tessuta da Holy Spider (trailer), che attira lo sguardo fino a catturarlo. Il film del regista Ali Abbasi, in concorso a Cannes 2022, in quell’occasione aveva conquistato i favori della critica (e il premio alla miglior attrice), oltre a catalizzare frizioni e annose controversie politiche. Perché lo sguardo di Abbasi non fa sconti alla scomoda realtà del suo paese natale, a partire dal suo ispirarsi ad un fatto di cronaca realmente avvenuto.

L’intreccio di Holy Spider deriva dalle spire di Saeed Hanaei (Mehdi Bajestani nella finzione del film), il killer Ragno, che tra il 2000 e il 2001 si rese responsabile di sedici omicidi a Mashhad: sedici prostitute accusate di “sporcare”, con la loro impurità, le strade della città santa. A curiosare sugli omicidi viene mandata Rahimi (Zar Amir Ebrahimi), giornalista di Teheran che inizia di fatto un’indagine in solitaria. Ma Rahimi sa di avere un netto svantaggio rispetto al suo avversario: è una donna, avversata dalle autorità competenti e relegata, costretta, entro i limiti degli abiti tradizionali che la “coprono” nei contesti pubblici. Limiti che la protagonista non manca di travalicare, abiti che dismette non appena rientra nella stanza della sua vita privata.

Per molti versi, specie nella sua prima parte, Holy Spider ricorda pellicole di stampo americano come Zodiac o Seven, opere a cui il regista strizza esplicitamente l’occhio. Ma col procedere della narrazione la lontananza dai riferimenti si allarga, in corrispondenza all’avvicinarsi della focalizzazione verso quella dell’assassino. La curiosità attorno alla sua identità è infatti presto svelata, dove il canone occidentale prevedrebbe di lasciarla al mistero, o quantomeno ad un colpo di scena più tardo. Abbasi sceglie invece di adottare il punto di vista del Ragno, di entrare nella sua vita quotidiana, di umanizzarlo in quanto padre e marito. Una manovra che, se in prima istanza configura una dualità tra la protagonista e il carnefice, alla lunga instilla un diffuso senso di colpa nello spettatore, portato dalla messa in scena quasi a compatire un uomo malvagio ma miserevole.

Ed è proprio a partire da questo sentimento che agisce la critica politica e sociale di Holy Spider, tanto più pungente quanto più si allarga al discorso collettivo. Non è infatti l’azione del singolo individuo quella sotto la lente di Ali Abbasi: persino l’omicida teme gli sguardi “fuori dalla porta di casa”, il giudizio della folla imperante. Una folla che arriva poi ad acclamare la giustizia della sua crociata morale. Ma il finale, in questo senso, fa capire come ogni individuo sia manipolabile, come ognuno alla fine cada nella rete del ragno. Perché il ragno non è l’assassino, non è la figura del singolo, bensì l’intero sistema sociale. Una chiave di lettura manifestata fin dall’inizio del film, quando al termine della prima sequenza una panoramica verso l’alto mostra l’intera città di notte, con le sue strade e i suoi reticoli, illuminati a formare una gigantesca tela.

Con coraggio ed estrema crudezza, Ali Abbasi sceglie di raccontare una realtà controversa come la condizione femminile nel regime islamico iraniano. Lo fa travestendo la sua storia da poliziesco, da thriller trascinante, per attirare lo sguardo e avvolgerlo intorno a profonde tematiche politiche. Intrecciando così i fili di un velo, quello di ogni donna, coperto dalla rete di una società soffocante.

Holy Spider è al cinema dal 16 febbraio.

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