Contrattempo, la recensione del film su Netflix

Contrattempo

Contrattempo (qui il trailer), prodotto in Spagna nel 2016, è un thriller scritto e diretto da Oriol Paulo. Nel 2018 è stato prodotto un remake italiano intitolato Il testimone invisibile.

Adrián Doria, manager di grande successo, è agli arresti domiciliari con l’accusa di aver ucciso, in uno sperduto hotel di montagna, la sua amante Laura. Doria, che si professa innocente e sostiene di essere stato incastrato, ha assunto l’autorevole avvocatessa Virginia Goodman, esperta nel preparare gli imputati alle deposizioni e ai processi. Nelle poche ore a disposizione prima della testimonianza, la Goodman avrà il compito di analizzare i fatti e gli ultimi mesi della vita di Adrián, dai cui racconti emergono particolari e retroscena inaspettati.

Contrattempo, opera seconda del regista, può definirsi per certi versi hitchcockiana sia nella messa in scena che nel modo in cui si costruisce la tensione del racconto, rivelando una maturità ed un equilibrio sorprendenti. Chirurgico nella messa in scena, pignolo ed attento nei dialoghi, il film è un puzzle in continua evoluzione, un gioco ad incastro dalla prospettiva labile ed incerta, con vorticosi picchi di inquietudine raggiunti senza exploit di violenza e sangue. Il continuo ribaltamento dei punti di vista toglie le certezze di chi guarda, che si perderà immerso in dubbi di amletica memoria.

Contrattempo

Magistrali le performance del cast autoctono capitanato da Mario Casas, vera e propria star del cinema iberico contemporaneo, e dalla magnifica Ana Wagener, al centro di un ruolo che svelerà tutte le proprie sfumature sono nel machiavellico epilogo. I cento minuti di visione, divisi tra il tempo reale ambientato in un appartamento e i vari flashback che ripercorrono a ritroso le fasi salienti del caso, possiedono un’anima tensiva notevole, ulteriormente esaltata dalle magnifiche interpretazioni degli attori. In Contrattempo ogni minimo dettaglio è da ricordare con attenzione poiché fondamentale e illuminante ai fini degli eventi, costantemente sospesi su un ciglio morale dove gli individui danno il meglio e il peggio di loro stessi a seconda del contesto. La fotografia, a cura di Xavi Gimènez, patinata e sapientemente virata sui toni dell’oro e del verde, riesce ad esaltare le suggestive location iberiche.

La struttura frammentata del film ricorda da vicino Rashomon, pietra miliare del cinema diretta da Akira Kurosawa. La tesi centrale del film infatti è la sostanziale inesistenza di un’unica “Realtà Oggettiva”, data dall’impossibile somma algebrica delle infinite realtà soggettive che insieme la “costituiscono” e la “destituiscono” di valore. L’assunto alla base di tutto è l’esaltazione dell’incertezza, della difficoltà (a volte impossibilità) di determinare la realtà dei fatti. In Contrattempo i numerosi flashback mostrano varie versioni di uno stesso accadimento, portando continui ribaltamenti di prospettiva e colpi di scena. “Uno stesso fatto, se osservato da un’altra prospettiva, cambia completamente di significato”, afferma nel film la stessa avvocatessa Goodman, chiamandola tecnica del pensiero laterale. Questa tecnica, ideata dallo psicologo Edward de Bono, aiuta ad uscire dal circolo vizioso caratterizzato da un pensiero statico, ripetitivo, uguale a se stesso, che continua a vedere e affrontare la situazione da un unico punto di vista.

Insomma, Contrattempo è un thriller da camera di rara efficacia, che sfrutta i costanti flashback e diverse versioni di questi per tracciare il percorso verso la verità, seminando dettagli in continuazione atti a far partecipare il pubblico alla risoluzione dell’enigma. Risoluzione di indubbio impatto, con un finale sorprendente che ben convoglia tutta la suspense, emotiva e non, creata nei precedenti cento minuti di visione.

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