Halftime, la recensione del documentario su Netflix

Halftime, recensione del nuovo documentario su Jennifer Lopez

Siamo nel 2019, l’intramontabile Jennifer Lopez compie 50 anni: si apre così il suo documentario, Halftime (qui il trailer), diretto da Amanda Micheli. Durante tutto questo tempo l’artista non si è mai fermata, contiamo infatti quasi 40 film girati, 10 album, 60 singoli e ben 30 video musicali; non dimentichiamoci, tra l’altro, di ringraziare il suo Jungle Dress se ora esiste Google Immagini.

Guardando il documentario è chiaro che Jennifer fin da bambina aveva ben chiaro cosa volesse fare da grande. La più piccola tra le tre sorelle, a soli 18 anni va via di casa per inseguire il suo sogno: diventare come Rita Moreno. Nella City lavora come ballerina, la svolta nel campo della recitazione arriva con Selena (regia di Gregory Nava), mentre quella musicale nel 1999 con il singolo If You Had My Love.

Nonostante gli enormi successi musicali andati di pari passo a quelli attoriali, J.Lo sente ancora la necessità di dover essere presa sul serio. Con Le ragazze di Wall Street (2019, regia di Lorene Scafaria) uno dei suoi più grandi desideri, vincere un Golden Globe, stava quasi per esaudirsi; ugualmente successe con la candidatura agli Oscar: entrambe le speranze andarono in fumo.

La delusione è forte. Il vincere uno dei due premi le avrebbe dato la sicurezza di essere finalmente accettata come attrice e riconosciuta più per la sua bravura che per le sue relazioni sentimentali: perché questa, in effetti, è la carriera di Jennifer Lopez, una costellazione di successi oscurati dal gossip (o almeno così ci fa credere la regia).

Gran parte del documentario gira attorno alle insicurezze dell’artista il che, a lungo andare, non è molto credibile. La dimensione celebrativa padroneggia; ma quando celebrazione e insicurezza camminano parallelamente sfociano in confusione. Un’artista così poliedrica, capace di tenere al top delle classifiche film, dischi, videoclip e il tutto nelle stesse settimane; un’artista che narra il suo stesso documentario, è davvero così insicura? Qualcosa non torna. Sarebbe stato più credibile mettere “meno carne sul fuoco” e non concedere così tanto spazio a drammi inconsistenti.

j-lo e shakira all'halftime nel 2019

Sempre nel 2019 arriva una notizia inaspettata (soprattutto se teniamo a mente l’era politica trumpista che padroneggiava quel periodo): Jennifer Lopez e Shakira, due donne latine, vengono scelte per l’halftime show del Super Bowl. Per chi non lo sapesse, il palco del Super Bowl è, per gli artisti americani, uno dei più importanti luoghi a cui aspirare per esibirsi. È in questo momento che il documentario lascia cadere la zavorra del pietismo e prende finalmente una piega diversa, critica e politica.

Jennifer si scontra ogni giorno con i vertici della NFL per far si che sul palco non ci siano solo due belle donne, ma un messaggio: nell’era in cui vengono alzati muri e barriere, questo spettacolo deve simboleggiare il crollo di essi. L’idea di progettare delle gabbie da cui far uscire ballerini e cantanti è stata una di quelle più ardue da tenere, considerando anche l’appoggio che i proprietari della NFL fornivano a Trump. Come dice J.Lo: «For me this isn’t about politics, this is about human rights», infatti le gabbie restano, e sono stupefacenti.

Se cercaste, dunque, una storia di tenacia, bravura e un esempio su come rialzarsi a testa alta dalle delusioni, Halftime è il documentario giusto da vedere, ma potete tranquillamente portarlo avanti fino a metà.

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