Guillermo Del Toro’s Pinocchio, la recensione del film: il burattino del fascismo

Guillermo Del Toro porta sullo schermo Guillermo Del Toro’s Pinocchio (trailer), adattamento del capolavoro di Collodi, con coraggio ed originalità, mettendosi in gioco come autore ed osando una riscrittura del testo originale ricca di metafore sublimi e forte di una grande maturità autoriale. L’opera è frutto di una scelta che consente all’artista di affrontare il significato stesso delle sue scelte meta-narrative in modo lucido ed ammiccante, rivolgendosi allo spettatore mainstream e perfino ai più sofisticati cultori del testo.

L’autore del testo originale Carlo Collodi nasce nel 1826 e muore nel 1890, il suo romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino viene pubblicato nel 1883 e successivamente tradotto in 240 lingue e diffuso in tutto il mondo. L’opera ha ispirato molteplici adattamenti, tanto per il mondo dei burattini, quanto per il cinema e poi per la televisione, ma non ultimo il videogioco (basti pensare al recente Lies of P, videogame soulslike di produzione ucraina, sviluppato dal regista coreano Choi Ji Won).

L’opera di Collodi è stata dunque scritta prima delle mutazioni sociali e politiche del 1900 e chiaramente prima della venuta in Italia del fascismo. La scelta di Del Toro di spostare ad un diverso secolo il racconto originale spinge la struttura narrativa verso nuovi territori ed opportunità creative: naturalmente è un’operazione rischiosa, perché una condizione del genere apre le porte a delusioni e polemiche da parte di chi ama il testo classico e non ne vorrebbe adattamenti troppo lontani dal pensiero originale.

Fin dall’inizio Del Toro, la cui regia è a quattro mani con il capace animatore Mark Gustafson, fa i conti con il pubblico e forse col suo senso di colpa d’artista, creando un figlio perfetto in carne ed ossa per Geppetto che rappresenta extradiegeticamente il testo originale del romanzo. Sicuramente non a caso, questo bambino perfetto si chiama Carlo, esattamente come Collodi. Il testo perfetto, originale ed intoccabile muore sotto le prime bombe della guerra, privando in primis Geppetto del figlio ideale e poi l’autore del film del testo perfetto da cui non potersi discostare: la guerra, la dittatura e la brutalità di un tempo meno civile uccidono la nobiltà del Pinocchio originale e la società da cui proveniva il testo letterario.

Più volte nel corso della storia Geppetto rimprovererà al suo Pinocchio di non essere Carlo, così come forse l’autore rinfaccia alla sua opera di non essere Pinocchio, ma altra cosa, grezza, mostruosa, anarchica, ma non priva di anima. Pinocchio del resto più volte rivendica di non voler essere la creatura perfetta Carlo, un po’ come l’opera che rinfaccia al suo creatore di voler essere libera da modelli di paragone e determinata a trovare la sua strada e la sua storia da raccontare.

Il nuovo Pinocchio, il burattino del fascismo, nasce dal dolore e dalla disperazione di un padre che ha perso il figlio ideale, è così il frutto di una generazione rabbiosa che ha perso la perfezione idealizzata di un ‘800 che non tornerà più, rispetto ad un ‘900 tecnico e grezzo, ma al tempo stesso efficiente, un secolo veloce e in continuo mutamento. Così Guillermo Del Toro’s Pinocchio fin dai primi momenti diventa metafora di un secolo di evoluzioni, cambiamenti e brutalità, il secolo del progresso, ma anche del fascismo.

Inoltre il film si interroga sulla sua natura di non-umano dotato di umanità che si paragona al Cristo crocifisso nella chiesa del paese, che ai suoi occhi non è altro che un altro burattino creato dal suo padre scultore. Pinocchio realizza che per il Cristo scolpito dal padre tutti provano affetto e commozione, ma quel pupazzo di legno che si paragona alla figura del Cristo rappresentato con la stessa materia sembra davvero essere la metafora dell’uomo che, paragonandosi alla rappresentazione del figlio di Dio fatto carne, si interroga sulla differenza di trattamento che il resto dell’umanità gli riserva. Insomma, Pinocchio sembra domandarsi perché, se l’uomo è a immagine e somiglianza di Dio, non è trattato dai suoi pari con lo stesso amore e commozione.

Pinocchio è ripudiato dalla comunità, osservato con disgusto dal fascismo che lo teme come sussulto nella normalità appiattente che sta cercando di imporre sulla nazione, ma ben presto ne vedrà un tornaconto diretto scoprendone l’immortalità e di conseguenza l’utilità militare. Così il “Paese dei Balocchi” diventa un campo di formazione per giovani fascisti e Pinocchio sviluppa il primo rapporto umano di fiducia con un balilla di nome Lucignolo. Il giovane amico umano, nonostante le manipolazioni degli adulti, in quanto bambino conserva la purezza che gli permetterà di ribellarsi con Pinocchio alla dittatura. Nel mondo di Del Toro, per i bimbi dei balocchi fascisti, che giocano solo con armi e bombe, non ci sarà la mutazione in asinelli, ma la morte in guerra.

Al contrario della tradizionale raffigurazione della fata turchina, Del Toro mette in gioco creature pagane che evocano suggestioni e tempi più remoti anche rispetto alla rappresentazione di Collodi: tali creature giocano con la vita e l’anima di Pinocchio, così come facevano gli antichi dei, ma aiutandolo a crescere e capire la sua natura, spingendolo a trovare nel riconoscimento di sé la strada per la sua affermazione e definizione sociale. Guillermo Del Toro’s Pinocchio è un film maturo per un pubblico adulto, ma anche perfetto per i più piccoli, che pur non riconoscendo queste sottili metafore troveranno nel racconto temi ed insegnamenti positivi alla loro portata.

Il regista messicano ci racconta di un Pinocchio che ormai libero dai fili invisibili, cerca la sua identità confrontandosi con la modernità che il suo stesso padre non ha potuto vedere. Il burattino “rinato” nella sua nuova autonomia cerca la strada dell’imperfetto e nevrotico uomo moderno verso un’esistenza ed un mondo migliore. Il Pinocchio creato dal film è immortale diegeticamente ed extradiegeticamente perché ormai figlio di una visione culturale nuova davanti alla quale la sua identità può prestarsi a riscritture e ibridazioni adatte a rendere la sua maschera il simbolo dell’arte che verrà e pertanto non può e non vuole rinascere bambino, ma rimanere burattino fiero della sua diversità e forte dei suoi difetti.

Il film è al cinema dal 4 dicembre e poi su Netflix dal 9.

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