Framing Britney Spears, la recensione del documentario su Discovery+

Framing Britney Spears

Sulla scia di esempi come The Real Story of Paris Hilton o la docuserie diretta da Amy Rice Lindsay sulla vita di Lindsay Lohan ecco che la regista Samantha Stark, con il documentario Framing Britney Spears (trailer), presenta al mondo il suo lavoro su una delle icone pop più apprezzate e discusse degli ultimi vent’anni: Britney Spears.

Tra eccessi, fama, gloria, famiglia e obblighi Britney Spears viene mostrata al mondo più come un fenomeno mediatico che una persona reale. Il punto del discorso esplicato attraverso questa visione documentaristica discordante con la personalità stessa dell’artista, non vuole concentrarsi né troppo sulla vita della reginetta pop né tantomeno sul movimento #FreeBritney di cui è protagonista negli ultimi tempi, ma tanto più su quanto Britney sia stata manipolata da un sistema mediatico che l’ha intrappolata in una luccicante tela di ragno, lasciando tessere ad altri le fila della sua immagine e della sua vita.

Framing Britney Spears con la sua inchiesta giornalistica, aperta dal The New York Times, va a scavare affondo nella vita della star. Partendo dagli albori della sua carriera, con la partecipazione al programma televisivo per giovani talenti The Mickey Mouse Club, ci viene presentata l’immagine di una bambina pura ed innocente, con una voce potente e non rovinata come negli ultimi tempi. La storia procede e al termine delle riprese la ragazzina torna nella sua città natale Kentwood, sobborgo americano fortemente religioso, lasciando in lei quel sogno della fama che la spingerà, pochi anni dopo, alla registrazione di Baby One More Time, primo singolo di enorme successo che segna purtroppo l’inizio della fine.

Il successo non è stato d’aiuto portando tutti a considerare Britney come un prodotto, alternando, anche nella messa in scena del documentario, video della sua vita con spot pubblicitari, accostandola quindi di più ad un oggetto da vendere. Tutti vogliono un pezzo di Britney e quest’onda mediatica la cantante l’ha pagata a caro prezzo. L’opera della Stark dimostra, così, i motivi che hanno spinto Britney ai suoi eccessi, alterna interviste di persone a lei vicine con interviste di paparazzi che in quel momento erano diventati il suo peggior incubo seguendola in ogni minima frazione della sua esistenza. Colpisce il fatto che nessuna delle persone intervistate individui la pop star come una carnefice della sua vita, ma tutti la vedano come una vittima: vittima di un mondo che l’ha usata, vittima di un sistema che l’ha venduta e vittima di persone, comprese i suoi famigliari, che in lei hanno visto semplicemente un successo commerciale non curandosi minimamente dei suoi sentimenti.

Britney Spears rappresenta una contraddizione: è sia la brava ragazza che la bad girl dalla quale è meglio stare lontani ed è su questo che giornalisti e scrittori hanno puntato per far crollare a pezzi il suo essere. Le interviste tv intercorrono come promemoria nella seconda parte del documentario mostrando come l’incoerenza della pop star fosse vista come una colpa da punire, giudicando qualsiasi suo comportamento sbagliato e rendendola vittima di un mondo mediatico misogino che vedeva in lei la causa della fine delle sue storie amorose, dei suoi insuccessi lavorativi o della sua vita familiare. Portando il tutto al fondo del baratro con il 2007, quando la Britney con la testa rasata impera nelle scene globali come esempio di malattia mentale, spingendo il giudice ad approvare una conservatorship affidando, così, al padre la custodia dei suoi beni materiali, finanziari e delle sue scelte di vita. In questo modo la rende incapace di essere diversa da un oggetto, rinchiudendola, di nuovo, in un sistema mediatico di controllo che la porterà ad assecondare i voleri di altre persone riguadagnando la fama, ma perdendo sempre più se stessa.

Lo sguardo documentaristico utilizzato in Framing Britney Spears è utile in questo contesto a spiegare i fatti in modo chiaro ed a porre le basi per quello che poi è diventato il movimento #FreeBritney, che vedendo ancora la star controllata in ogni aspetto della sua vita da suo padre ritiene che debba essere libera, avendo riacquistato, negli ultimi tempi, un equilibrio che le permetta di essere autosufficiente. La denuncia divampa e si rende mediatica con l’utilizzo dei social e anche grazie a questo documentario che cerca di restituire, nel modo più accurato possibile, la visione della cantante che ha vissuto questa prigionia in prima persona.

Samantha Stark chiede a gran voce giustizia per Britney, per una Britney che è prima una donna che un fenomeno mediatico. Espone il suo punto di vista partendo dalla sua vita, per poi concludere con il suo movimento liberatorio per poter cominciare a vivere di nuovo. Parla per supposizioni, non avendo la certezza di tutto ciò, in quanto né Britney né i suoi familiari sono apparsi nel documentario, rifiutandosi di partecipare. I documenti sembrano però confutare la tesi, spingendo così lo spettatore ad appassionarsi alla vicenda riuscendo ad incuriosire anche chi non è un fan della pop star.

Britney Spears rimane senza ombra di dubbio uno dei personaggi più discussi di sempre: rapisce, scandalizza ed interessa. È sicuramente tra i fenomeni mediatici meglio confezionati, ma c’è di più? Esiste davvero la persona meravigliosa dietro quella maschera, oppure no? Solo alla fine del processo che riguarda la ridiscussione della sua conservatorship avremo una risposta, per ora possiamo solo prendere atto di questi fatti e decidere se accodarci al #FreeBritney oppure no.

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