Film da Oscar: i consigli della redazione

Film da Oscar, i consigli della redazione

In occasione degli Oscar 2024, la redazione di DassCinemag propone una lista di titoli che, negli anni, hanno vinto il prestigioso premio dell’Academy come miglior film. Dagli anni Quaranta fino ad arrivare ai Duemila, opere indimenticabili che hanno fatto la Storia e continuano tutt’oggi ad influenzare il modo di fare cinema.

QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO (1975; Miloš Forman)

Qualcuno volò sul nido del cuculo, la recensione del film

Perché, nel 1976, la pellicola di Miloš Forman batte capolavori assoluti come Barry Lindon, Lo squalo, Quel pomeriggio in un giorno da cani o Amarcord? Perché riesce a trasformare un manicomio in un microcosmo in cui tutto è alla rovescia: la follia è la norma, i criminali sono i buoni, le autorità sono i cattivi. Questo universo fittizio, inventato, con le sue regole, è comunque capace di raccontare il mondo reale e il suo tempo presente, con tutte le sue contraddizioni. Superando ogni tipo di buonismo, il film tratta un tema sociale delicato come le case di cura mentale, inserendosi in una tradizione ben consolidata dell’Academy che premia i “film che fanno riflettere”, ma intrattengono e coinvolgono grazie a una narrazione più che classica. La forza di Qualcuno volò sul nido del cuculo (trailer) è proprio questa unione di vecchia e nuova Hollywood, di classico e moderno, di tradizione e rivoluzione che porta a un potente inno alla libertà.

Di Paolo Moscatelli.

MOONLIGHT (2016; Barry Jenkins)

moonlight, la recensione del film

A fronte di una cerimonia che voleva premiata quella che negli anni successivi sarebbe stata una delle coppie più amate del mondo del cinema (Emma Stone e Ryan Gosling in La La Land), Moonlight (trailer), diretto da Barry Jenkins, fa valere tutta la sua forza drammatica vincendo la più gratificante delle statuette. Un giovane protagonista, tre capitoli che raccontano l’impresa della vita ai margini e un tentativo disperato di riscatto. Chiron è un ragazzo afroamericano, figlio di una madre tossicodipendente e omosessuale: sembra che il margine se lo sia cucito attorno al corpo, insieme al suo stesso isolamneto. All’inizio del film è già uno sconfitto, la difficilissima prova dello spettatore è dunque quella di sperare in una sua rivalsa che, anche quando arriverà, avrà un tono sommesso e malinconico. 

Magistrale il lavoro sulla fotografia, e sui colori in particolare: la palette di colori freddi che vanno dal viola al blu è probabilmente la resa estetica del titolo dell’opera teatrale da cui Barry Jenkins trae il soggetto e la struttura del film, In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney, nonché del suo significato profondo. Molti film sulla realtà afroamericana di periferia riprenderanno questa stessa estetica (si pensi a Waves e in parte a Get Out), individuando nel blu e nelle sue sfumature il colore d’elezione di una condizione esistenziale molto più complessa di come la immaginiamo.

Di Claudia Teti.

AMADEUS (1984; Miloš Forman)

AMADEUS, la recensione del film

Tra i film che hanno vinto più statuette nella storia degli Oscar, non si può non ricordare Amadeus (trailer) di Miloš Forman, il capolavoro cinematografico del regista cecoslovacco. Nel 1985 ha infatti conquistato ben otto premi, tra cui il riconoscimento come Miglior Film e Miglior Regia. Ma cosa rende questo film così speciale da diventare un grandissimo successo? La figura di Wolfgang Amadeus Mozart è certamente nota a tutti: celebre compositore austriaco che iniziò la sua carriera come vero enfant prodige, per poi giungere alla Corte Imperiale Viennese. Forman, tuttavia, non si concentrò tanto sulla veridicità storica, quanto piuttosto su una leggenda che da sempre alleggia attorno al genio musicale e al suo maestro, Antonio Salieri. Il regista trasse ispirazione dall’omonima opera di Peter Schaffer (che firmò anche la sceneggiatura) e incentrò la trama su una presunta rivalità tra i due compositori. Grazie a un magnifico cast (in particolare, i due attori principali, Tom Hulce e F. Murray Abraham) e alla sontuosità della scenografia e dei costumi, il film contribuisce ad elevare le composizioni di Mozart, che diventano vere e proprie protagoniste della storia.

Di Giulia Mazzoneschi.

KRAMER CONTRO KRAMER (1979; Robert Benton)

Kramer contro Kramer, recensione

Quando si parla della narrazione che intercorre tra il premio Oscar ed il film Kramer contro Kramer (trailer), il primo pensiero cade inevitabilmente sul presunto furto perpetrato ai danni di altri due capolavori come Apocalypse Now e All That Jazz. Per quanto si possa concordare sulla qualità indiscutibile di quest’ultimi, questo ci ha fatto dimenticare di quanto anche il melodramma americano con Dustin Hoffman e Meryl Streep possa rientrare nella stessa discussione senza aver nulla da invidiare ai suoi stimatissimi colleghi. Kramer contro Kramer si colloca all’interno della storia del cinema come la continuazione naturale del cinema della nuova Hollywood, il figlio perfetto di un movimento passato, ed il capostipite di un genere a sé stante, il padre necessario alla nascita della contemporaneità. L’emotività foto realistica e le performance indimenticabili sono la base di quello che nel nuovo millennio è diventato il marchio di fabbrica di autori quali Noah Baumbach o Lenny Abrahamson. Nel 2024, alla luce dell’evoluzione del mezzo cinematografico, è il momento di riconoscere i meriti di questa storia strappalacrime di vita e amore.

Di Alessandro Viani.

ROCKY (1976; John G. Avildsen)

rocky, la recensione del film

Dopo quattro sequel e tre spin-off, è paradossale pensare a come tutto sia nato da un film così semplice. La storia è probabile che la conosciate già. Un pugile non professionista, un uomo sconfitto dalla vita, riceve la possibilità di sfidare il campione del mondo di pesi massimi per un singolo incontro. Il tutto rievocando uno scontro impari alla Davide e Golia. Una storia di rivalsa, non tanto contro il mondo esterno, quanto verso i demoni interiori che attagliano il protagonista, gettandolo nella polvere ad ogni possibilità. Rocky (trailer) è una strana anomalia nella storia del cinema. Scritto da uno sceneggiatore alle prime armi, con protagonista un attore semi-esordiente, entrambi incarnati nella persona del giovane Sylvester Stallone. Nonostante questo tutto funziona come per magia, dando vita ad una storia personale, rozza, sentita, autentica, per niente glamour, capace per davvero di farci sognare ad occhi aperti. Non servono grandi effetti speciali, Rocky contiene al suo interno la quintessenziale storia di redenzione e rinascita. Capace di trascinarci, nel suo flusso, facendoci realizzare che se un verme, un’ameba, come Rocky Balboa ha qualche speranza di uscire indenne dalla gabbia che è la sua vita, forse anche le nostre lotte quotidiane non sono così impossibili.

Di Federico Sagheddu.

REBECCA – LA PRIMA MOGLIE (1940; Alfred Hitchcock)

rebecca-la prima moglie, la recensione del film

I fantasmi provenienti dal passato sono uno dei temi cardine della cinematografia hitchcockiana. Il più celebre esempio ne è, indubbiamente, la defunta signora de Winter: Rebecca. La sua presenza inquietante aleggia per la casa e si materializza in una delle figure più memorabilmente sinistre della storia del cinema, la signora Danvers. La sua morbosa adorazione per la padrona deceduta si traduce in un livore spaventosamente composto nei confronti della nuova arrivata. Lo sguardo critico della governante riesce nell’intento di istillare un profondo complesso d’inferiorità nel cuore dell’umile sposina che, ignara dei segreti del marito, prova un forte senso di inadeguatezza. Saranno proprio i valori della protagonista, contrapposti a quelli di Rebecca, a liberare il castello di Manderley dall’ineluttabile anatema che lo cinge. La gentilezza, la sincerità e la modestia, considerati manchevoli della spregiudicatezza necessaria all’aristocrazia, si rivelano l’antidoto alla mesta solitudine del marito. L’esordio Hollywoodiano di Alfred Hitchcock gli vale l’oscar al miglior film. Questo capolavoro dà riprova del suo talento sconfinato e della sua straordinaria capacità di generare suspence in ogni circostanza, anche quando il testo di partenza è un romanzo sentimentale. Rebecca – La prima moglie rappresenta il primo tassello dell’avventura americana di Hitch. Una delle esperienze più proficue e notevoli della storia di Hollywood, che lo consacrerà maestro assoluto della settima arte.

Di Leone Bulgari.

BIRDMAN (2014; Alejandro González Iñárritu)

BIRDMAN, la recensione del film

Sul palcoscenico regnano le maschere, ma spesso è dietro le quinte che si perde la certezza del proprio essere. È il dilemma esistenziale che Riggan Thomson (Michael Keaton) affronta in Birdman (trailer), vincitore del premio Oscar nel 2015. Il protagonista è infatti un attore di cinema sull’orlo del fallimento che progetta di riconquistare la propria reputazione, nonché la stima dei suoi colleghi e di sua figlia, prendendo parte ad uno spettacolo teatrale a Broadway. Durante questa operazione disperata è costretto ad interrogarsi sul valore della sua immagine pubblica e a riscoprire l’importanza degli affetti familiari, inoltrandosi nelle profondità della propria psiche fino a perdere traccia della sua identità. Così, mentre Riggan prova a slegarsi dal suo ruolo più famoso (appunto, Birdman), la verità e la finzione si sovrappongono, il teatro e la vita reale diventano una cosa sola. L’illusione di un unico e lunghissimo piano-sequenza trascina lo spettatore in un vortice di colori, luci e ombre, frutto di una fotografia più che memorabile, alla scoperta di personalità complesse portate sullo schermo da un cast eccezionale (Naomi Watts, Emma Stone, Zach Galifianakis, Edward Norton, …). In questo modo Alejandro González Iñárritu conduce la sua ricerca esistenziale, firmando un’opera che ci ricorda quanto possa essere semplice, in un labirinto di ambizioni, smarrire ogni ricordo di chi siamo davvero.

Di Ludovico Cerrone.

NON È UN PAESE PER VECCHI (2007; Joel ed Ethan Coen)

non è un paese per vecchi, la recensione del film

Ispirato al romanzo di McCarthy, i fratelli Coen vincono l’Oscar come miglior film nel 2008 con un film post 11 settembre che rispecchia l’animo di quegli anni verso un futuro in cui si perdono tutte le moralità e guidato dalla violenza. Il personaggio che nel film incarna questa razionalità è Anton Chigurh (Javier Bardem), uomo che agisce con una aggressività gratuita e alle volte beffarda, decidendo il destino di persone innocue con il lancio di una moneta. Il personaggio che invece dovrebbe rappresentare una speranza e la ricerca di un’integrità è il poliziotto Ed Tom Bell (Tommy Lee Jones), vicino alla pensione, che si sente sopraffatto da quel futuro, ormai alle porte, lontano dai tempi in cui la criminalità aveva un senso e che quindi si poteva combattere. Nonostante l’esperienza e la perspicacia non riesce a salvare Llewelynn Moss (Josh Brolin), morto non per mano dell’inseguitore, Anton, ma dei messicani. Personaggi che il pubblico ha completamente dimenticato e che quindi spiazzano totalmente. I Coen rappresentano una visione decisamente pessimistica degli Stati Uniti, condivisa anche dai giurati degli Academy che hanno premiato una pellicola che non concede speranze. Il racconto del declino della moderna società e la perdita dei valori, così come delle illusioni. Insomma, un segnale poco incoraggiante e che oggi potremmo dire accurato.

Di Carmine Faiella.

UN UOMO DA MARCIAPIEDE (1969; John Schlesinger)

un uomo da marciapiede, la recensione del film

Fottere, fottere, fottere. Ai texani, evidentemente, piace fottere. Ma è nelle declinazioni più morbose (o ridicole) della libido voluptatis che si riconosce il vero spirito del South west. E i texani a cui piace fottere, solitamente, al cinema si chiamano Buck. «My name is Buck and I’m here to fuck». Orgasmi celluloidali esplodono tra i medici di El Paso con pazienti in stato comatoso, tra iredneck di paludosi motel con ingenue prostitute e tra lavapiatti col mito di Johnny Guitar e l’american dream pulsante sotto il feltro degli Stetson. Un uomo da marciapiede (trailer) di John Schlesinger, vincitore nel 1970 di tre premi Oscar tra cui Miglior film, segue quest’ultimo caso. Joe Buck (Jon Voight), cowboy texano e wannabe gigolò, si trasferisce dalla remota provincia alla prosperosa metropoli, col culto lussuoso (e luttuoso) di corpo, sesso e verdoni. Ma la Grande Mela è marcia, ospita larve inquiete e bruscamente interrompe i sogni di gloria erotica dello stallone del sud. Nelle rozze escrescenze di New York, Buck conosce Rico detto Ratso (Dustin Hoffman), unto reietto della società, zoppo ma eterno vagabondo («I’m walking here!»), che tira avanti con truffe e piccoli furti. Nascerà un’amicizia emarginata, disperata, tragica. Tra i flashback di un passato traumatico e le ossessive ricorrenze di crudo realismo, il film di Schlesinger danza sanguinante sui cocci del sogno americano, disilludendo cinicamente gli orizzonti splendenti del nuovo liberalismo.

Di Mattia Croppo.

CASABLANCA (1942; Michael Curtiz)

casablanca, la recensione del film

Casablanca, 1942. Migliaia di profughi europei in fuga dal regime nazista si recano nella città marocchina, da dove sperano di poter raggiungere Lisbona, per poi tentare il titanico viaggio verso gli Stati Uniti d’America, presunta patria della libertà tanto agognata. Questo il preambolo ad uno degli amori più celebri della storia del cinema, quello tra Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, o meglio, tra Rick Blaine e Ilsa Lund: lui un cinico e scontroso americano, ex contrabbandiere d’armi ed ora gestore del club più famoso in città, il Rick’s Café Américain, lei una giovane profuga, nonché ex amante di Rick a Parigi. Quando i due si rincontrano si rendono conto dell’immutato amore reciproco. Ma i tempi della città francese sono andati, ed Ilsa non è giunta sola a Casablanca: con lei c’è suo marito, Victor Laszlo (Paul Henreid), eroe della resistenza cecoslovacca, ora ricercato dai nazisti e per questo in fuga. Casablanca (trailer) non è un film perfetto: strumento di propaganda interventista contro l’allora isolazionismo americano, è ricco di cliché e i toni fortemente patetici sono forse ormai estranei alla sensibilità di noi spettatori moderni. Ma la nobiltà dei sentimenti e l’arguzia della sceneggiatura sono un’ulteriore conferma dell’intramontabilità del classico firmato Michael Curtiz.

Di Francesca Gentile.

A BEAUTIFUL MIND (2001; Ron Howard)

a beautiful mind, la recensione del film

Vincitore di quattro Premi Oscar (tra cui Miglior Film) all’edizione del 2002, A Beautiful Mind di Ron Howard è il racconto struggente di una solitudine tutta arroganza e genio. Pur riuscendo a leggere l’universo infinito scritto a caratteri matematici, John Nash (Russell Crowe) stenta a mantenere il controllo della ragione e cade così vittima nel corso degli anni di ansie amiche e nemiche. A Beautiful Mind è un grande racconto di scelta ed equilibrio, in cui vecchie abitudini e comportamenti possono risultare utili in un primo momento ma poi tradirti in un secondo. Non è un caso, infatti, che il desiderio del matematico protagonista di essere a tutti i costi ricordato darà vita alla paranoia dell’essere perseguitati. A cosa credere quando l’immaginazione prende le redini della realtà e della nostra mente ormai malata? Tra i tanti, l’incantevole Alicia (Jennifer Connelly) l’esuberante Charles (Paul Bettany) l’invidioso Martin (Josh Lucas) e il militaresco Parcher (Ed Harris) sono i fidati strumenti della brillante “teoria dei giochi” di Nash, Premio Nobel 1994 per l’economia. Nonostante la varietà di questi addendi, sembra che qualcuno di essi non soddisfi la matematica del compositore dei numeri. Qual è allora la vera soluzione?

Di Eugenio Sommella.

FORREST GUMP (1994; Robert Zemeckis)

forrest gump, la recensione del film

Forrest Gump (trailer) si aggiudicò l’Oscar come miglior film nella 67ª edizione degli Oscar (1995). In questa commedia drammatica Forrest Gump (Tom Hanks) ci racconta attraverso un lunghissimo flashback cronologico più di 30 anni di storia americana (1950-80) di cui si fa testimone ed arteficee lo fa da panchina in quell’iconica fermata dell’autobus di Savanna. Forrest affronta sin dalla giovane età problemi di salute fisica e dovrà avere a che fare per tutta la vita con un ritardo nel suo sviluppo cognitivo. Ma questo deficit non gli impedirà di vivere la sua vita a pieno facendosi trascinare dalla balìa degli eventi in mille avventure, come non gli impedirà di innamorarsi della sua migliore amica di infanzia Jenny Curran (Robin Wright). Trasversalmente la storia biografica è attraversata dalle storie di altri personaggi simboli dell’immaginario americano e raffigurazione di vari temi sociali: il tenente veterano Dan Taylor reso disabile dalla guerra del Vietnam, il soldato nero Bubba morto in battaglia, Jenny ed i suoi problemi di droga nel periodo hippies. Le avventure di Forrest raffigurano il suo motto nonché la citazione più nota del film: «la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita».

Di Enrica Nardecchia.

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