#DassCineSummer: horror da brividi da guardare in estate

NON APRITE QUELLA PORTA (1974; Tobe Hooper)

non aprite quella porta, la recensione del film

“Un’idilliaca gita pomeridiana estiva si trasformò in tragedia”. Il 18 agosto 1973, Sally (Marilyn Burns) e il fratello Franklin (Paul A. Partain), in sedia a rotelle, sono in viaggio con altri amici per visitare la vecchia casa del loro nonno. Sulla strada, un macellaio psicopatico li adesca facendo autostop e li marchia a morte. Poche ore dopo, il massacro ha inizio. Non aprite quella porta (trailer), The Texas Chain Saw Massacre in lingua originale, diretto da Tobe Hooper, è oggi un classico a cui altri horror possono solo aspirare. La narrazione, del tutto verticale, corre sparata verso la fine in una montagna russa di adrenalina. Tutto riporta ad una macabra fiaba moderna: la brevità della durata, i personaggi bidimensionali, gli archetipi noti a tutti, le immagini iconiche che diventano subito immaginario. Chi non conosce Leatherface (Gunnar Hansen) oggi?

Sono passati esattamente 50 anni da una delle stragi più famose della storia del cinema e, ancora oggi, il film offre affascinanti spunti di riflessione: le fake news per protestare contro un governo disonesto, l’abilismo, i risvolti vegetariani e animalisti per l’analogia fatta tra il macello di animali e di uomini a paragone. È un ritratto sfaccettato della violenza come fenomeno comune del nuovo mondo, da quella più subdola a quella più anarchica e brutale. La legge viene meno di fronte ai desideri personali, al consumo sfrenato, e nessun posto è più sicuro. Hooper riesce a vedere oltre, riprendendo un mondo nuovo dove l’individualismo dilaga prepotente: i nostri “eroi” non si uniscono e questo li fa crollare uno ad uno.

Di Daniele Fabietti

VENERDÌ 13 (1980; Sean S. Cunningham)

Venerdì 13, la recensione del film

Venerdì 13 (trailer) del 1980, diretto da Sean S. Cunningham è il primo film che ha aperto la strada al genere slasher. La storia parla di alcuni teenagers che si trovano a fare un campeggio al Camp Crystal Lake, dove c’è un assassino che aleggia sulle loro teste e pian piano li uccide tutti. Questo assassino darà vita al personaggio di Jason Voorhees, che, grazie alle saghe e spin-off, è diventato oggi un’icona del cinema horror. Nel film sono presenti molte vicende che attualmente potrebbero risultare obsolete, ma all’epoca erano fresche e rivoluzionarie: l’ambientazione isolata e lontana dalla città, un gruppo di protagonisti adolescenti spavaldi e interessati maggiormente al sesso.

Il film non si limita a rendere sullo schermo la violenza c’è, infatti, sullo sfondo, il rapporto tra madre e figlio. Inoltre, arriva chiaro, un monito, in un certo senso, a quella giovinezza degli anni ’80 che in quel periodo si trovava a vivere un periodo di cambiamenti e trasformazioni, spinta dalle rivoluzioni tecnologiche e culturali, che rischiavano di sviare il suo cammino.

Di Carmine Faiella

LA CASA (1981; Sam Raimi)

La casa, la recensione del film

La casa (trailer) rappresenta uno dei maggiori classici horror della storia del cinema, forse uno dei più iconici fra quelli che hanno fatto della possessione demoniaca il tema del film. Uscito nel 1981, con un budget di appena 370000 dollari, il film è stato scritto e diretto da Sam Raimi, il quale per poterlo realizzare diresse nel 1978 il cortometraggio Within the Woods, il cui successo fu proprio pensato per ottenere i fondi necessari alla realizzazione del film. 

 La storia narra di cinque adolescenti in vacanza che giungono in una casa sperduta nel bosco, isolata dalla nebbia e circondata da insoliti alberi. I primi segni di un passato riesumato si vedranno nel momento in cui il protagonista ascolta un vecchio nastro registrato anni prima, che parla di inquietanti possessioni demoniache. Nonostante gli effetti speciali siano legati ad un passato che oggi potrebbe far sorridere, La casa conserva con efficacia un fascino da brivido: memorabili le sequenze in cui i personaggi cadono vittima, per diverse volte, dello spirito demoniaco che alberga nella casa. Il successo del film inaugurò una serie di sequel ed altre opere cinematografiche che ancora oggi trovano nel fascino di una casa nel bosco l’ispirazione per narrare nuove storie.

Di Carlo Mariano

SLEEPWAY CAMP (1983; Robert Hiltzik)

Sleepway camp, la recensione del film

Sleepaway Camp (trailer) è uno slasher del 1983 diretto da Robert Hiltzik, un film controverso che si è guadagnato un posto d’onore tra i film horror mediante il plot twist finale che ribalta completamente i canoni del genere. Il film si apre mostrandoci l’evento che metterà in moto tutto il resto della narrazione, ovvero un tragico incidente, avvenuto nell’estate del 1975, in cui muoiono due dei tre componenti di un’allegra famigliola. L’unico superstite viene dunque affidato alla zia che lo crescerà insieme al figlio, e cugino della vittima, Ricky (Jonathan Tiersten). Successivamente, con un salto temporale di otto anni, vediamo i due ragazzini, Ricky e Angela (Felissa Rose), prepararsi per andare a trascorrere l’estate a Camp Arawak. Un luogo pieno di insidie per la taciturna Angela che, ancora evidentemente traumatizzata, ci viene presentata come un’indifesa e inconfutabile final girl.

A difenderla c’è Ricky che prima la salva dalle molestie del cuoco pedofilo e, per tutta la durata del film, si oppone ad ogni atto di bullismo fatto ai danni della cugina. Ed è proprio a Ricky che pensiamo quando guardiamo questi sgradevoli personaggi venire brutalmente assassinati, uno dopo l’altro, da un killer con cui condividiamo lo sguardo (ogni omicidio ci viene mostrato in soggettiva) e di cui vediamo solo le piccole mani. Ma, come accennato all’inizio, la potenza del film sta proprio nel colpo di scena che, non solo, rivela che Angela non è la vittima ma il carnefice, ma pure che, oltre al suo ruolo nella vicenda, anche la sua identità è stata del tutto camuffata e la ragazza non è chi pensiamo che lei sia. Un finale sconvolgente che rimescola le carte in gioco facendoci dubitare di tutto ciò che abbiamo precedentemente visto e che rende Sleepaway Camp uno slasher unico nel suo genere.

Di Marina Anzellotti

MIDSOMMAR (2019;Ari Aster)

Midsommar, la recensione del film

Un gruppo di studenti americani di antropologia decide di trascorrere il solstizio d’estate in Svezia, invitati nel villaggio natale di uno di loro, Pelle (Vilhelm Blomgren).
Nella compagnia, seppur come ospite indesiderata, c’è anche la fidanzata di Christian (Jack Reynor), Dani, interpretata dall’ormai conosciuta e apprezzata Florence Pugh. La ragazza ha appena subito una gravissima perdita e sta facendo i conti con il lutto: questo il motivo per cui Christian insiste nell’includere anche lei. Assieme a Josh (William Jackson Harper) e Mark (Will Poulter) inizia quindi il viaggio: un’esperienza all’interno di questa comunità, intenta a preparare riti e cerimonie che assumono toni sempre più macabri e grotteschi, fino a svelare segreti oscuri e raccapriccianti, inghiottendo i protagonisti in una trappola dalla quale non c’è via d’uscita.

Un horror diretto e scritto da Ari Aster, Midsommar (trailer) è atipico nella forma e nel contenuto: ambientato in estate, girato quasi totalmente alla luce – accecante – del sole, non contiene i soliti jumpscare e cliché del genere. Si tratta di una storia lugubre, che ha radici nelle leggende nordiche e nelle credenze scandinave, in cui tutto ciò che viene mostrato è concesso e perdonato perché la vita non è altro che un ciclo, destinata a concludersi e a trovare nuova forma in un altro corpo. Il finale, crudo quanto significativo, esalta la figura di Dani, incoronata Regina di Maggio, che perde tutto per ritrovare una nuova sé in quel villaggio dei dannati.

Di Eleonora Lavia

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