#Cannes76: Asteroid City, la recensione del film di Wes Anderson

Asteroid City recensione del film di Wes Anderson DassCinemag

In una città creata dalla mente di uno scrittore alcuni eccentrici personaggi si ritrovano a dover convivere loro malgrado nel bel mezzo del deserto di Willy Coyote e Road Runner fra alieni, militari ed esplosioni nucleari sperimentali. Wes Anderson propone a Cannes Asteroid City (trailer), un film girato parzialmente in academy bianco e nero e parzialmente in cinemascope a colori, un passaggio fra due realtà che talvolta si contaminano fra loro rivelandosi cartoline, programmi tv e film d’epoca in una sola soluzione narrativa con l’ausilio di un cast hollywoodiano di prim’ordine ed una leggerezza che davvero dà sollievo al cuore ed un po’ di divertimento al cervello.

In un mondo bianco e nero e in 4/3 dove Bryan Cranston conduce un programma in stile “Ai confini della realtà“, lo scrittore Edward Norton sta preparando un romanzo curioso ed ambizioso ambientato nella città immaginaria di Asteroid, un luogo dove tecnologia d’avanguardia e sperimentazione nucleare vanno a braccetto. Ma l’immagine si allarga ed eccoci in un cinemascope dai colori virati come piacciono al d.o.p. Robert Yeoman, collaboratore di Anderson da I Tenenbaum del 2001.

Jason Schwartzman è un fotografo di guerra ed un padre in viaggio con il lutto della perdita della moglie da elaborare e la notizia della morte della madre da dare a quattro figli da circa tre settimane. Un guasto dell’auto lo costringe a rimanere ad Asteroid City dove lo raggiungerà il padre Tom Hanks ed un alieno in visita dallo spazio per confiscare l’asteroide che dà il nome alla città. Nel mezzo di una situazione surreale e simbolica il protagonista troverà in una diva del cinema bloccata in città e interpretata da Scarlett Johansson un punto di interesse e focalizzazione per superare la sua crisi interiore.

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Il film gioca con il mito del sogno americano, con gli anni 50, la televisione ed il cinema dell’epoca ma più di tutto con quello strano sapore fantastico e fiabesco che esercita questa epoca su chi non l’ha vissuta ma vista solo attraverso i sogni del cinema. Non a caso la storia parla di risveglio della coscienza, precisando però che per un risveglio è necessario prima un profondo sonno della ragione che possa trascinare l’essere umano in un mondo proprio di sogni e citazioni da cui trarre una nuova consapevolezza. Insomma Anderson ci offre il sogno americano nel senso più profondo della parola, cioè come sogno da fare per potersi risvegliare con una visione più sana e matura della società in cui si vive e che si vuole costruire.

Un film all’apparenza leggero ma in realtà ricco di simbolismo, pensiero filosofico e cultura del cinefilo, che non manca mai di offrire momenti degni dei grandi maestri di Hollywood giocando con la loro iconicità e provocando nello spettatore divertenti déjà vu e sottotesti visivi utili per scardinare la leggerezza dell’opera e trovare il significato nascosto nella composizione visiva. Un racconto semplice per occhi semplici e complesso per menti complesse che merita di essere visto in una sala cinematografica.

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