#Cannes75: Holy Spider, la recensione del film di Ali Abbasi

Arriva a Cannes Ali Abbasi, futuro regista di alcuni episodi della serieThe Last of Us, con Holy Spider, un thriller originale e suggestivo, molto diverso dalle aspettative canoniche e con una ricchezza di contenuti che eleva l’opera a film da festival e da programmazione d’autore. A Mashhad, in Iran, le strade sono nelle mani di un serial killer fondamentalista che uccide le donne costrette dalla povertà alla prostituzione. Trattandosi di creature impure la polizia opera con superficialità e la comunità non vive alcun turbamento. Dalla città di Teheran arriva una giornalista, da poco vittima di un abuso sul lavoro, intenzionata a fare chiarezza e dare la caccia all’assassino.

Ali Abbasi, nato a Teheran ma di nazionalità danese, è uno dei nomi emergenti più interessanti del nuovo cinema europeo. I film di Abbasi sono imprevedibili e costruiti per poter essere fruiti sia come film di genere che come difficili film d’autore, tutto dipende dal modo con cui lo spettatore decide di guardarli. L’esordio di Abbasi è stato l’imprevedibile horror poliziesco Shelley, ma l’attenzione internazionale è arrivata con il superbo Border – Creature di confine, storia di una doganiera dallo strano aspetto fisico che fiuta l’odore della paura delle persone e che solo dopo aver incontrato un suo simile scoprirà di essere una creatura molto diversa dalle altre. L’opera seconda di Abbasi trascende il thriller ed il cinema realista, che sembra inizialmente abbracciare, per poi andare verso la direzione di un film fantasy e horror dai toni unici e dalla trama incredibilmente originale.

Anche nel caso di Holy Spider il regista si mostra del tutto imprevedibile, regalando allo spettatore un film dai toni polizieschi che affronta il tema dell’identità di genere nel mondo islamico, ma anche del ruolo della religione e il pregiudizio alimentato da una visione alterata della stessa. Il film è diviso in tre atti solidi e trascinanti che si spostano da un racconto di indagine dove esploriamo la psicologia e le origini dei due protagonisti, la giornalista (Zar Amir-Ebrahimi) e il serial killer, per poi arrivare alla parte più tesa e coinvolgente della pellicola, dedicata alla cattura dell’assassino. Il terzo e ultimo atto è invece dedicato al processo, che ci porta ad una riflessione sul sistema giudiziario iraniano, sul peso della politica religiosa e sulla condizione sociale della donna. Abbasi si mostra ancora una volta una promessa del cinema di qualità, con la capacità di mettere insieme temi cari al cinema d’autore e tematiche più tipiche di quello di genere, creando appunto ibridi di confine che molto promettono per il futuro del cinema europeo.

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