Anselm, la recensione: il caos dentro una cornice rettangolare

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Quando il caos viene racchiuso in una cornice rettangolare diventa un dipinto. È questo il principio generatore dell’opera di Anselm Kiefer, protagonista dell’ultimo progetto di Wim Wenders che, a distanza di poco dall’uscita di Perfect Days, ritorna al cinema con un documentario che ripercorre le tappe della vita dell’artista tedesco. 

La narrazione comprende svariati flashback nell’infanzia dell’artista, in questi intervalli interpretato dal giovanissimo Anton Wenders, durante la quale entra in contatto per la prima volta con quelle che saranno le sue principali influenze ideologiche e artistiche. Nel trasportarci attraverso le tappe del processo creativo dell’artista con la sensibilità visiva che lo caratterizza, l’autore tedesco si serve di espedienti, come la sovrimpressione e la grafica tridimensionale, essenziali per restituire alle opere la loro insita profondità e complessità e trasmettere il loro impatto emotivo e concettuale. 

Wenders propone uno sguardo intimo sulla tecnica artistica, esplorando le motivazioni profonde e la filosofia portante di quella che Kiefer chiama “protesta contro l’oblio”, responsabile di aspre critiche sul fronte locale, che lo considera eccessivamente provocatorio e controverso, e di elogi e ammirazione sul fronte internazionale, da cui viene lodato per il suo coraggio. Wenders si guarda bene dall’entrare nel merito delle provocazioni e le problematicità dietro determinate opere dell’artista, probabilmente timoroso di addentrarsi in un labirinto di ideologie molto complicato da districare.

Tuttavia, questa scelta, piuttosto che agevolare l’autore, finisce per danneggiarlo: Wenders, almeno in questo caso, non sembra proprio riuscire a creare qualcosa di memorabile. L’aggiunta della sua “cifra autoriale” riesce unicamente ad innalzare il livello del documentario ad un qualcosa di superiore di un ordinario e mediocre, ma non sufficientemente da considerarsi degno di nota, specialmente a confronto con l’integralità della filmografia di Wenders, in mezzo alla quale, il documentario, appare come una specie di “nota stonata”.

La pluralità dei punti di vista proposti offre una panoramica totale dell’arte di Kiefer e del suo significato ma, l’assenza evidente di una struttura coesa, nonostante sia un tratto distintivo del cinema di Wenders, trasforma la frammentarietà della narrazione in una lacunosità poco soddisfacente. Anche ripercorrendo l’infanzia dell’artista, l’autore fa aderire insieme i momenti più fondamentali per la formazione dello stesso, ma, sempre per via dell’incompletezza nella narrazione, risultano semplicemente come dei frammenti disgregati e confusi che scompongono maggiormente la narrazione piuttosto che arricchirla e renderla completa.

Anselm (trailer), nel suo complesso, è in grado di coinvolgere: è la parabola di un uomo enigmatico, a tratti perfino oscuro, e della sua arte, esaltata dalla potenza visiva delle inquadrature e dalle riprese artisticamente composte. D’altra parte non si può non considerare come tanti degli elementi responsabili del coinvolgimento dello spettatore siano frutto dell’artificio della post-produzione. Scartato l’involucro esterno non rimane molto altro di indimenticabile. Al di là dell’indubbio valore del documentario, considerato come l’ennesima aggiunta all’opera di Wenders, non si può non tenere conto del grande sforzo che richiederebbe il desistere dal cambiare canale se venissimo estromessi dall’atmosfera suggestiva del 3D e del buio della sala cinematografica.

Al cinema dal 30 aprile

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