Le immagini di violenza e crudeltà della guerra sono ben note a tutti nelle pagine di cronaca così come nei film di finzione, ma cosa succederebbe se la della guerra fosse vista dal mirino di una fotocamera e non più da quello di un fucile? È questo che succede nel più recente prodotto A24, Civil War (trailer), firmato da Alex Garland (Ex Machina, Annihilation, Men), che ci racconta le vicende di un gruppo di fotoreporter e giornalisti che attraversano l’America, ormai inghiottita quasi completamente dalla guerra civile, verso Washington, alla ricerca di una notizia scottante.
I protagonisti di questo viaggio sono Lee (Kirsten Dunst), fotografa dall’atteggiamento distaccato, che non sembra più essere impressionata dalle atrocità a cui assiste, e Joel (Wagner Moura). I due, nonostante qualche titubanza da parte di uno o dell’altro, decidono di portare con loro anche l’anziano Sammy (Stephen McKinley Henderson), giornalista e mentore di Lee, e la giovane Jessie (Cailee Spaeny), aspirante giornalista che stima profondamente la fotoreporter.
I quattro partono così per un viaggio tra paesaggi colorati dal verde della natura e dal rosso del sangue, accompagnati da una colonna sonora poco congeniale a quello che, all’apparenza, ha tutto l’aspetto di un war movie. Anche la fotografia, curata da Rob Hardy, fedele collaboratore di Garland, si presenta sotto forma di colori ipersaturi e scene sensazionali che trasformano gli incendi e le esplosioni causate dalle armi americane in spettacoli della natura. Insieme alla musica, la fotografia attribuisce al film un’atmosfera straniante, a tratti quasi grottesca, riprendendo una guerra tra due fazioni dai confini confusi, tra chi uccide per difendersi senza sapere chi sia il proprio nemico.
La vicenda narrata arriva a risultare frustrante, per tutto il tempo sembra che i protagonisti siano davanti ad un grottesco spettacolo di marionette, che quello che stanno immortalando non sia un conflitto bestiale ma una partita di un qualunque videogioco sparatutto in VR che va un po’ troppo per le lunghe. Ci si chiede per tutto il film come facciano i protagonisti ad ignorare deliberatamente la gravità della violenza immonda ripresa dai loro obiettivi, ad essere quasi impassibili nonostante abbiano guardato in faccia la morte. L’indignazione che causano le immagini ed il comportamento dei fotoreporter è sintomo di una certa sensazione di superiorità rispetto a loro, un tentativo di autoconvincerci che l’uomo non possa mai, al di fuori della finzione cinematografica, arrivare ad essere così insensibile.
Dopotutto, però, il costante flusso di immagini diversificate a cui veniamo sottoposti giorno dopo giorno non ci stanno forse conducendo allo stesso livello di disconnessione che rende indistinguibili le immagini di repertorio dalle testimonianze autentiche di brutalità disumana? Alla luce di questa considerazione, l’ira incandescente provocata dal film lascia il posto ad una desolata rassegnazione, nel momento in cui entra in gioco la spiacevole consapevolezza che questa vicenda ci riguardi più da vicino di quanto vorremmo.
Nonostante venga classificato come distopico, il film porta avanti un’idea tutt’altro che surreale: quella che la sete di denaro, mista al godimento sadico dell’assistere in modo ravvicinato ad una così brutale violenza pur rimanendone illesi, protetti dal proprio tesserino, possano corrompere anche l’animo più puro ed integro, in una maniera talmente tanto subdola ed impercettibile da sfuggire all’attenzione di chi guarda. In questo modo, quello che dovrebbe essere l’arco di sviluppo e di crescita della protagonista più giovane si trasforma in un lento e scoraggiante declino verso l’apatia e la freddezza. Il risultato è che, alla fine dei fatti, si è, essenzialmente, ancora al punto di partenza.
A fronte di tutte queste premesse e grazie a degli attori dall’innegabile valore, la guerra civile messa in scena da Alex Garland ha tutte le carte in regola per moltiplicare, al botteghino, il grande investimento dell’A24, che rende Civil War il film più costoso sin dalla nascita della casa di produzione. Ciò s’intravede in modo esplicito, oltre che in un cast degno di nota, curato fino alle minime apparizioni, soprattutto nelle ambientazioni quasi maestose e post-apocalittiche, quasi da kolossal, che popolano il film. Dunque, nel complesso, per quanto cruda e brutale, la vicenda è impacchettata in modo impeccabile. Con un finale perfettamente esplicativo ed esplicito, per quanto aperto, Civil War non si perde in moralismi scontati e dozzinali ma, senza esitazione, traduce sullo schermo la bestialità e la disumanità insite nella natura dell’uomo.
Al cinema.