Fidanzata in affitto, la recensione: non era solo business

Fidanzata in affitto recensione film di Gene Stupnitsky DassCinemag

«Volevo solo salvare la mia casa, niente di personale». Così Maddie (Jennifer Lawrence) riassume l’insolito rapporto che la lega a un ragazzo di 20 anni, Percy (Andrew Barth Feldman), in Fidanzata in affitto (trailer), la stravagante commedia romantica di Gene Stupnitsky in uscita nelle sale dal 21 giugno. Nel XXI secolo l’anticonvenzionale sembra essere ormai la regola, ma le coppie con un notevole divario d’età fanno ancora scalpore. Sono tante le rom-com di questo tipo in cui solitamente la maturità, con grande sorpresa, risiede nel partner più giovane. Il vero fulcro della storia non è l’insolita attrazione tra i due, ma gli scontri generazionali e una crescita reciproca dovuta alla scoperta di un nuovo punto di vista, ignorato finora. 

Il rapporto con l’amore, e più in generale con “l’altro”, è il vero punto debole dei due protagonisti di questa storia. I problemi con i propri genitori costituiscono le grandi ferite che hanno portato entrambi i personaggi a vivere l’amore e la sessualità in modo confuso, con esiti totalmente opposti, che al contempo, però, costituiscono due facce della stessa medaglia. Lei, abituata a delle relazioni usa e getta, sempre in difficoltà ad aprirsi e donarsi all’altro davvero; lui rinchiuso nel suo mondo ovattato, in cui non vuole, ma allo stesso tempo in realtà non riesce, a far entrare nessuno. 

La commedia di Stupnitsky aspira a raccontare come tutti, in fondo, possiamo finire per sabotarci da soli e rimanere a crogiolarci nelle nostre difficoltà senza affrontarle davvero. È più comodo per entrambi i protagonisti accettare passivamente la propria condizione scaricando la responsabilità sulle colpe dei propri genitori piuttosto che rimboccarsi le maniche e scrivere la propria storia. Le aspettative e i desideri degli altri sono vissuti come opprimenti e diventano delle scuse per giustificare azioni autodistruttive pur di non affrontare il problema. L’unica salvezza è l’amore. Non necessariamente quello delle rom-com più classiche che ci fanno battere il cuore, ma un autentico sentimento di amicizia verso qualcuno che si è donato veramente a noi. Quell’amore che i genitori di entrambi non sono mai riusciti a dare. In virtù di questo, i protagonisti saranno disposti a fare di tutto, persino a crescere, perché in fondo… si trattava solo di questo. 

Fidanzata in affitto recensione film di Gene Stupnitsky DassCinemag

Dall’ambizione di affrontare riflessioni così importanti, la storia a tratti rischia di perdersi in una comicità che, in quanto volutamente trash, ambisce a creare situazioni sempre più paradossali, banalizzando a volte temi altrimenti molto interessanti. Il pretesto narrativo di per sé ridicolizza l’universo in cui vivono i personaggi: gli adulti sembrano immaturi e sconvenienti, come degli eterni studenti del college spensierati e devoti al solo divertimento. Con una comicità dai tratti demenziali, vengono derisi tutti i cliché di una generazione che non vuole mai crescere e prendersi le sue responsabilità, con tutti i problemi che ne conseguono per i relativi figli.

La vera bussola morale è costituita per assurdo dal giovane Percy e da tutti gli ex di Maddie, che le ricordano come le sue azioni egoiste possano danneggiare gli altri. Stupnitsky quindi ci dice che l’amore è molto di più, in un film che racconta una società confusa, senza punti di riferimento, continuamente impegnata in una ricerca disperata di una via per la felicità. Per crescere davvero bastava solo vivere, invece di chiudersi in una bolla, e aprirsi all’altro, invece di usarlo e sfruttarlo per meri scopi egoistici. È una questione personale, non è solo business.

Il film è in sala dal 21 giugno.

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