Wolfwalkers, la recensione del film su Apple TV+

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1650. Nella contea irlandese di Kilkenny, i britannici, sotto gli ordini di Lord Commander, si apprestano a eliminare l’ultimo branco di lupi che vive al di fuori dei confini cittadini, nella foresta. Pur essendo celato, il vero obiettivo sono i “wolfwalkers”, esseri umani che nel sonno si trasformano in lupi. Nonostante il loro carattere innocuo – piuttosto che attaccare, come vediamo nell’incipit, le creature difendono il loro habitat – i coloni sono piuttosto decisi a perseguire i loro scopi. Tra i cacciatori incaricati di svolgere questo compito c’è Bill Goodfellowe, giunto dalla madre patria accompagnato da sua figlia, la piccola Robyn. Quest’ultima, vera protagonista della vicenda, verrà, dopo una fuga dal paesino, a contatto con Mebh, piccola wolfwalker che attraverso il suo punto di vista le farà capire come stanno veramente le cose.

A sei anni di distanza da Song of the Sea, Tomm Moore e Ross Stewart (prima volta accreditato come regista), sotto l’irlandese Cartoon Saloon (in coproduzione con la belga Mélusine Production), tornano con questo Wolfwalkers – il popolo dei lupi (trailer), disponibile a partire dall’11 dicembre su Apple TV+. Wolfwalkers, nonostante l’ambientazione storica, è una concentrazione di temi molto attuali, uno su tutti la salvaguardia dell’ambiente. Non è infatti difficile rivedere nei britannici l’uomo-medio capitalista, l’agente inquinante per eccellenza, ma neanche una piccola versione di Greta Thunberg in Robyn. Così come una sempreverde apertura verso l’altro, verso un punto di vista che non sia condizionato da voci ignoranti echeggianti in quattro mura, vista anche la chiusura “tangente” delle barriere che circondano Kilkenny. Ma anche la mitologia e in generale la cultura irlandese, figlia di un popolo che lotterà a lungo per rendersi indipendente dall’Inghilterra.

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Citare Song of the Sea, ma anche il precedente The Secret of Kells, è fondamentale per comprendere ancor di più il valore di quest’ultima produzione della casa irlandese, perché viene a completarsi una “trilogia sul folklore irlandese”. Una trilogia rappresentata fortemente anche dall’animazione, tradizionale, di carattere opposto al quasi-fotorealismo raggiunto da titoli statunitensi come Soul. Un vero e proprio segno di distinzione e riconoscibilità nel panorama animato.

I tratti di Wolfwalkers, all’apparenza “approssimativi” (colori che sfociano oltre il nero dei bordi, per dire), sono molto convincenti: in primis anche per la particolarità con cui vengono trattati gli ambienti (la foresta richiama a forme circolari, smussate, e sinuose, mentre la città, figlia della chiusura in quattro barriere, richiama le linee rigide di forme triangolari e quadrangolari) e poi anche per la fantasia messa in gioco (la sequenza nella quale Robyn si riscopre wolfwalker). Menzione d’onore per le musiche, composte da Bruno Coulais, tra le quali troviamo una rivisitazione di Running with the Wolves di Aurora, sempre cantata da Aurora, presente in una delle sequenze più suggestive del film. Insomma, una sorpresa di fine 2020 tutta da scoprire.

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