Underground, c’era una volta un Paese…

C’era una volta un film, Underground, anzi c’è ancora e compie venticinque anni esatti (il primo aprile del 2020), ma è un film che racconta una favola che si chiama Storia ed una nazione che non c’è più. C’era una volta dunque un paese chiamato Jugoslavia, fondato su una dittatura comunista imposta da un oligarca chiamato Maresciallo, Tito.

C’era una volta dunque un regista… e c’è ancora, chiamato Emir Kusturica che nel 1995 realizzò il film oggi considerato la sua più alta vetta artistica e una vera e propria opera rock zigana unica, senza predecessori e con tante imitazioni dimenticate nel giro di poco tempo. Emir Kusturica scopre la pièce teatrale di Dusan Kovacevic durante la sua formazione artistica. Durante i bombardamenti in Jugoslavia incontra l’autore e comincia a lavorare con lui sulla sceneggiatura di un film che amplierà la base del testo originale. L’intento degli autori è creare un completo e complesso affresco sulla storia di un Paese in bilico: la Jugoslavia. L’idea di un film i cui protagonisti sono chiusi, interrati in uno scantinato senza legami con il mondo esterno sembrò perfetto per raccontare la contemporaneità del conflitto serbo-croato. Kovacevic è un autore teatrale molto legato alla scrittura di Cechov e Strindberg ed echi di questi grandi drammaturghi si possono chiaramente riconoscere nel film di Kusturica.

L’idea di Kusturica, così come la espone nel suo diario di lavorazione è di un film “dove la parte migliore del comunismo slavo sono i suoi errori”, un film che giochi con la pesantezza della Storia, con il dolore, la nostalgia, la paura e la follia di una nazione che aveva perduto la sua identità dopo che la stessa era stata imposta con violenza e autoritarismo dal regime comunista. Il film di riferimento di Kusturica e Kovacevic è Il Dottor Stranamore di Stanley Kubrick e ne preserva una regola chiave: prendere spunto dalla realtà e dalla storia per oltrepassarla attraverso l’eccesso. Per Kusturica il film non è dunque solo l’epopea dissacrante della Jugoslavia, ma anche il documento della contemporaneità del conflitto serbo-croato.

Underground è la storia di due amici: Marko (Miki Manojlović) e Petar (Lazar Ristovski), due giovani coraggiosi e determinati che nel 1941 portano al sicuro dai tedeschi amici e parenti in un rifugio antiaereo destinato a diventare una comunità, una fatalità costringerà i due amici a separarsi: uno resterà nel mondo sepolto ed uno nel mondo esterno. Con il passare del tempo la vita nel rifugio diviene la vita e basta, le abitudini del passato si dimenticano e si comincia a vivere seguendo le indicazioni di Marko, unico contatto con l’esterno per il guerrigliero Petar ed il resto dei rifugiati. Se Petar impone la sua autorità nella microcomunità sepolta, Marko impone la sua attraverso mercati neri e diplomazia diventando un politico sempre più influente.

Durante la nuova vita sotterranea la comunità impara a fabbricare armi che Marko vende anche dopo la fine del conflitto diventando un potente dirigente del regime comunista di Tito, nascondendo le mutazioni storiche ai suoi “schiavi-operai” imprigionati nel mondo sotterraneo. Ma la storia non si ferma qui, diviso in tre densissimi atti, Underground arriva fino alla contemporaneità, affrontando perfino in diretta e in tempo reale quello che sta succedendo in Jugoslavia. Il film, caso raro nella storia, parte dalle origini di una Paese ed arriva documentare attraverso la finzione la fine.

Kusturica gira Underground interamente in Cecoslovacchia, prevalentemente a Praga ed anche in questo caso subisce lo straniamento dalla realtà della sua terra vivendo nell’artificio felliniano del suo film la storia che gli è preclusa dal confine chiuso dalla guerra. Lui la Jugoslavia la vede morire in uno studio cinematografico mentre quella vera muore attraverso i telegiornali visti in Cecoslovacchia.

Ma la storia del rapporto fra Marko e Petar passa anche attraverso l’amore per l’attrice Natalija (Mirjana Joković), un triangolo che Kusturica prende in prestito dal classico To be or not to be di Ernst Lubitsch che cita perfino in qualche inquadratura.

Per Emir Kusturica la farsa è un genere serio e complesso che rappresenta il rituale massimo della messa in scena attoriale e narrativa, il suo rapporto con la festa è simbolico e sacro, un momento di celebrazione carnevalesca, a tratti grottesca in cui il potere ed il rapporto del popolo con lo stesso si cristallizza in un rito onirico perpetuo. La scena del matrimonio a cielo aperto, che Kusturica usa come centro del suo ciclo narrativo, fulcro di tutto il suo processo di scrittura è un momento chiave separato dalla continuità drammatica eppure fondamentale.

Anche il matrimonio nel rifugio è un fantastico esempio di cinema e memoria, ricca di citazioni colte, di riferimenti filmici che arrivano fino al Gattopardo di Luchino Visconti. La tecnica di preparazione di un film di Kusturica parta sempre da una singola scena che scrive con precisione e dettagli, non ha importanza se quella scena sarà integrata completamente o no nel film, ma è da quello che succede in quella scena specifica che si definiscono le psicologie, gli eventi e la fine della storia, tutto esiste in una singola scena che già da sola è tutto il film.

La magica scena chiave di Underground è quella del pranzo di matrimonio, la scena finale che non ha nessun legame con il finale vero del film in quanto onirica ed estraniante, eppure è la spiegazione di ogni cosa e completa con gioia amara l’affresco di una terra alla deriva, quella deriva che Kusturica rende perfino fisica nel finale del suo affresco in movimento.

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