#Venezia78: Mama, ya doma, recensione del film di Vladimir Bitokov

Nal’chik, città del Caucaso e capitale della Repubblica Autonoma di Cabardino-Balcaria, per gli appassionati di cinema, è diventato un luogo discretamente noto negli ultimi anni. È infatti la città di Tesnota, il bellissimo esordio di Kantemir Balagov. Ed è la città di Mama, Ya Doma, sorprendente titolo di Vladimir Bitokov presentato a Venezia nella sezione Extra di Orizzonti. Se nel film di Balagov la città era il punto di partenza per una riflessione sulle guerre cecene, qui la collocazione geografica fa di Nal’chik (estremo meridione) un universo lontano dal centro nevralgico della Russia, dai movimenti delle grandi città.

Nonostante ciò, come vediamo nella sequenza iniziale, il film sottolinea come ci sia ancora un osso duro, guarda caso occupante sempre i posti più rilevanti a livello politico, che vuole farla da padrone e mantenere in vigore le grandi icone del passato (su tutte Stalin, la cui immagine viene mostrata su una parete di un edificio decadente). Ma veniamo al succo della trama: Antonia “Tonya” Petrovna (Ksenia Rappoport) è un’autista di autobus che vive con sua figlia e la sua piccola nipote, in attesa di riabbracciare suo figlio Evghenij, di cui ha poche notizie. Un giorno, viene convocata da un capitano di una squadra militare privata che le fa sapere della morte di suo figlio durante una spedizione in Siria. Le viene rilasciata una medaglia, un cospicuo indennizzo e viene riaccompagnata a casa. C’è però un problema: il certificato di morte riporta come data del decesso il 7 marzo, quando l’ultimo messaggio ricevuto da sua figlia riporta risale al 9 marzo.

La lotta di Tonya in Mama, ya doma si preannuncia come fallimentare sin dalle prime battute. Le autorità non vogliono darle retta, spesso fingono di non comprendere l’oggetto del discorso e passano a tutt’altro argomento. Lo stesso militare che le ha annunciato la triste notizia, in una sequenza che finisce paradossalmente per strappare una risata, la prende letteralmente in giro: “Io stavo sciando [quando mi hanno avvisato della morte di suo figlio]”. Ma il “colpo di genio” (tra molte virgolette) ancora deve arrivare: per cercare di coprire questo caso, quelle stesse autorità manderanno un agente direttamente a casa di Tonya (Yurij Borisov) che si spaccerà per Evghenij.

Bitokov con Mama, ya doma, attraverso una parabola di eventi sempre più assurdi e dal risvolto sorprendente, vuole essere diretto e ribadirci quanto non sia cambiato molto dai tempi dell’Unione Sovietica. Ecco allora che le icone, per alcuni, hanno senso di essere ancora venerate. Ed ecco che il sistema di copertura e di menzogna verso alcune azioni e interventi promossi dalla stessa Russia (attraverso compagnie private, soprattutto in ambito militare) rimane in piedi, quasi fosse scritto nel DNA della Russia.

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