Oxygène (qui il trailer italiano), diretto da Alexandre Aja e scritto da Christie LeBlanc, è una co-produzione franco-statunitense approdata su Netflix il 12 di Maggio. I poster promozionali rischiano di far pensare a un ennesimo successore spirituale di Gravity, ma la pellicola si presenta fin da subito come un thriller fantascientifico sorprendentemente intelligente, ben strutturato e a dir poco ottimo.
Il film si apre con l’immagine di una donna avvolta in un bozzolo, rinchiusa in una stanza completamente buia salvo l’occasionale lampeggio di una luce rossa. Costei, ben presto, si rivelerà essere la protagonista assoluta della vicenda, interpretata da Mélanie Laurent (la Shosanna Dreyfus di tarantiniana memoria). Da quel momento in poi non sarà la regia di Aja a brillare, bensì la performance dell’attrice protagonista, che si esibirà in un vero e proprio one-woman show.
La ormai veterana Laurent, con diciannove anni di carriera cinematografica alle spalle, riesce a destreggiarsi nel suo claustrofobico ruolo senza mai inciampare. La maggior parte delle sequenze richiedevano che l’attrice fosse sdraiata, completamente sola sulla scena e con la macchina da presa quasi sempre puntata sul volto. Le sue numerose espressioni non cadono mai nella caricatura o nel ridicolo e la sua performance rimane perfettamente credibile per l’intera durata della pellicola. L’attrice, anche nei suoi innumerevoli primissimi piani, mantiene il controllo più completo. Il lavoro di fotografia di Maxime Alexandre, poi, rende viva l’illusione di trovarsi bloccati in uno spazio stretto e soffocante senza alcuna fatica.
Mélanie Laurent può essere considerata l’unica vera interprete attiva in Oxygéne, se si escludono le varie voci fuori campo che comunicano con lei (tra cui quella di Mathieu Amalric nei panni dell’intelligenza artificiale M.I.L.O.) o l’apparizione limitata ai flashback di Malik Zidi. Simulare emozioni reali senza guardare nessuno negli occhi è uno degli aspetti più difficili del mestiere dell’attore, e la dice molto lunga sul talento della Laurent, che porta il peso dell’intero prodotto sulle sue spalle senza mai uscire dalla parte.
Alla magistrale performance della protagonista si affianca una sceneggiatura leggermente sopra la media: una storia che non reinventa i tòpoi più classici del cinema sci-fi e non ci prova nemmeno, offrendone invece una piacevole interpretazione in chiave thriller, capace di gestire l’accumulo di tensione in maniera esemplare e di inserire un pizzico di riferimenti al mondo reale del 2021 senza troppe forzature. I dialoghi sono brevi, credibili e non cedono mai alla tentazione di percorrere il sentiero della retorica, fin troppo comune in un’epoca post-Interstellar. La struttura narrativa, tra l’altro, è abbastanza semplice e solida da riuscire ad accompagnare lo spettatore fino alla fine senza tenerlo per manina, lasciandogli la facoltà di trarre conclusioni senza l’ausilio di eccessive spiegazioni.
La colonna sonora, il cui tema principale ricorda vagamente il noto brano “Dumbledore’s Farewell”, di Nicholas Hooper, tratto dal film Harry Potter e il Principe Mezzosangue, non è del tutto memorabile, ma fa il suo dovere: l’aumento graduale della tensione è accompagnato da brevi crescendo di sintetizzatori, e i momenti di maggior pathos brillano di più grazie al già citato tema principale.
Oxygène non è un capolavoro del cinema sci-fi, ma è tuttavia una gradita boccata d’aria fresca. La durata di un’ora e quaranta minuti è perfetta, la storia va dritta al punto senza subire deviazioni e senza complicarsi troppo, la fotografia aiuta lo spettatore a immedesimarsi nella spaventosa situazione vissuta dalla protagonista e la performance di Mélanie Laurent si è rivelata decisamente superiore alle aspettative di chi scrive. Questi aspetti della pellicola rendono facilmente perdonabili le pecche di una colonna sonora anonima e di un lavoro di regia discreto, ma quasi invisibile.