Toy Story 4, restare bambini non significa essere infantili

toy story 4

Toy Story 4 (qui il trailer), per la regia di Josh Cooley è, parafrasando, cambiando e invertendo i termini della questione, quanto dice il commissario Gordon su Gotham e Batman: il film che non ci meritiamo ma di cui avevamo bisogno adesso. Toy Story 3 (2010) d’altronde era già stato accettato come la fine della saga iniziata nel 1995. Una fine più che dignitosa, un cerchio che si chiude perfettamente. Un quarto capitolo della saga sarebbe potuto risultare inutile se non ridondante, uno di quei film prodotti perché la Disney possa ricavarne un ritorno economico sicuro. Ebbene, fortunatamente, non è affatto così. Probabilmente gli spettatori non avrebbero chiesto un nuovo capitolo, semplicemente perché la saga era di fatto conclusa, tuttavia, il fatto che sia stato realizzato rende il film degno di attenzione.

L’inizio un po’ lugubre confonde leggermente, ma basta la prima nota dell’iconica canzone “Hai un amico in me” (“You’ve got a friend in me” di Randy Newman, nella versione originale) e subito si viene catapultati nel mondo dei giocattoli parlanti. Ancora una volta vediamo lo sceriffo cowboy Woody impegnato in una missione di salvataggio. È il turno di Forky, il giocattolo che la piccola umana Bonnie ha creato con le sue mani per riuscire a farsi coraggio e sopravvivere nell’ambiente sconosciuto di una nuova scuola. Questi diventa immediatamente il nuovo giocattolo preferito della bambina, ma continua imperterrito a desiderare di tornare nella spazzatura dalla quale proviene poiché ha, letteralmente, preso vita dal cestino dei rifiuti della classe di Bonnie. In questo contesto la Disney perde un’ottima occasione per affrontare il delicato, gravoso e tanto dibattuto tema dell’inquinamento ambientale. Forky è un “forchetto” di plastica coi piedini ricavati da un bastoncino di legno e decorazioni assemblate con altri accessori in vari materiali, tutti oggetti che si trovavano nella stessa pattumiera. In questa scuola, a quanto pare, non si insegna ai bambini l’importanza della raccolta differenziata. Peccato.

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Nel suo viaggio Woody rincontra Bo Peep, la pastorella di ceramica vista nel primo e secondo capitolo della saga, vecchia fiamma del cowboy. Cavalcando nuovamente l’ondata di femminismo dell’attuale periodo storico, la pastorella, un tempo indifesa, si rivela essere diventata una leader forte e indipendente, sempre pronta a guidare il suo gruppo di giocattoli smarriti. Sarà lei ad aiutare Woody ad accettare che i bambini ai quali tiene tanto, prima l’adorato Andy e ora la piccola Bonnie, sono destinati a crescere e a disinteressarsi ai giocattoli. Lo sceriffo sembra non voler sentire ragioni ed è persuaso a tornare dalla sua bambina anche se questa, nonostante la giovane età, ha già iniziato a mostrare indifferenza verso di lui. La presa di coscienza definitiva della realtà da parte dei Woody sarà coadiuvata da diversi personaggi, vecchi e nuovi. Dalla cowgirl Jessie che, dopo tanti sforzi profusi per i suoi amici, riceve una meritata ricompensa; a Buzz Lightyear, il balocco spaziale, che, incerto sul da farsi, inizia ad ascoltare la sua ‘voce interiore’. Compaiono poi: la bambolina cattiva dai capelli rossi Gabby Gabby, che non incarna esattamente i canoni tipici del villain; lo stuntman migliore del Canada pieno di insicurezze nascoste dietro un aspetto da duro, Duke Caboom; fino ad arrivare ai pupazzi-premio di un Luna Park che, mostrando una certa alterazione mentale, danno a intendere di aver trascorso decisamente troppo tempo ad aspettare di essere vinti da qualche bambino.

Il lungometraggio è un susseguirsi vorticoso di divertimento ed emozione che congeda lo spettatore dignitosamente, commuovendolo nel profondo. Una conclusione definitiva, una sorta di accettazione della fine di una saga più che ventennale che pone, al contempo, fine all’infanzia a patto che si possa mantenere una piccola parte bambina sempre viva dentro ognuno di noi e che questa parte possa essere ascoltata e magari anche assecondata. Solo qualche volta, il tempo necessario a ricordarci che la spensieratezza, ogni tanto, può davvero mettere nella giusta prospettiva gli impegni dell’età adulta.

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