Correva l’anno 1979 quando in Australia il giovane regista George Miller firmava un blockbuster internazionale con pochissimi mezzi a disposizione: era un piccolo film violentissimo ed un pò squilibrato intitolato Mad Max. Il film sarebbe uscito l’anno dopo anche in Italia con il titolo Interceptor, per l’occasione la Warner aveva concepito uno slogan che da solo faceva da incipit e sintesi ad un intero filone di film che, partendo dalle storie di samurai passava per Sergio Leone, arrivando ad oggi e fino a The Mandalorian (qui il trailer) di Jon Favreau: In una terra desolata e ostile siate grati a Mad Max.
In effetti lo schema che Favreau ha stabilito per la prima serie di alta qualità del franchise di Star Wars su Disney+ ricalca diversi classici del cinema e più di tutto si concentra sulla figura specifica dell’eroe senza nome, e qui addirittura senza volto, che riporta l’ordine nel caos e nell’anarchia. Ma il mandaloriano protagonista della serie non può da solo rimettere a posto il caos in cui si trova la galassia dopo gli eventi raccontati nel film Il ritorno dello Jedi; al massimo può preservare la sua etica, salvare qualche debole e proteggere coloro che lui giudica innocenti.
Jon Favreau attinge a piene mani dai classici della letteratura hard boiled degli anni 30′, i film di genere chambara del cinema samurai giapponese degli anni 60’/70′, il cinema western di Sergio Leone e Sam Peckinpah e l’evoluzione narrativa post-apocalittica presente nei quattro Mad Max di George Miller. Grazie a questo enorme bacino di predecessori Favreau riesce a costruire un racconto teso, semplice e pulito ma ricco di insidie, intrighi criminali e squisite citazioni colte. Favreau fa muovere i personaggi immaginati da George Lucas in un contesto inedito e periferico del mondo di Star Wars permeato di ignoranza, disillusione, ostilità e desolazione in cui un cacciatore di taglie si scopre padre di una creatura senza nome e senza storia del tutto diversa da lui ma immensamente empatica e misteriosamente preziosa per una vera orda di cattivi.
Favreau riscrive così per Disney+ i canoni del cinema violento adulto maschile degli anni 70′ rendendoli a misura di una famiglia del 2020 e riuscendo perfino a mantenere la suggestione dei classici del genere integrandola nelle atmosfere pop di Star Wars.
Nel 1976 George Lucas utilizzò i testi di Joseph Campbell per costruire la mitologia del suo mondo e sviluppare le principali caratteristiche dei suoi personaggi, quello che non prese da Campbell lo dedusse, per sua stessa ammissione da alcuni classici e dal cinema di Akira Kurosawa. Nel 2019 Jon Favreau riparte dalle basi del lavoro di George Lucas incrociando il samurai senza nome di Kurosawa con lo straniero di Sergio Leone, integrandolo con l’eroe di George Miller, per arrivare al suo prototipo di eroe coerente in tutto con quello definito da Joseph Campbell e dai saggi di Vladimir Jakovlevič Propp.
Ma l’eroe più esplicitamente ipotestuale della serie è il samurai Ogami Itto protagonista della fortunata serie manga Kozure Ôkami di Koike Kazuo. La particolare caratteristica di questo samurai è che se ne va a spasso per il Giappone con il proprio figlio in carrozzina, svolge attività occasionale di ronin e, quando non deve vedersela con letali sette di assassini che cercano di riscuotere la sua taglia, aiuta la povera gente che incontra e ripristina l’ordine nel caos. Insomma, la sinossi della serie The Mandalorian con qualche variante.
La saga di Ogami è anche composta da 7 film e una serie tv di successo noti con il nome internazionale di Lone Wolf and the Cub. Negli anni ’70, una casa americana ha comprato i diritti dei film per quasi tutto l’occidente e ha cercato di sintetizzare il racconto in una trilogia di film di montaggio rinominati Shogun Assassin. Questi ultimi sono più volte citati da Quentin Tarantino nel suo Kill Bill, dove utilizza anche alcuni brani musicali composti dallo stesso Koike Kazuo e crea un personaggio completamente basato sull’eroina manga e cinematografica Lady Snowblood, sempre creata dal nostro Koike.
Per meglio apprezzare la raffinatezza dell’operazione si invitano i lettori ad ascoltare il main theme della colonna sonora dei film del samurai Ogami e individuare l’omaggio nel main theme della colonna sonora di The Mandalorian al 46° secondo.
Ma il lavoro di rimandi di Favreau non si limita a questo, il gioco prosegue con il piccolo alieno, che la rete ha nominato Baby Yoda per affinità di razza con il mitico mentore creato da Lucas, che ricorda la creatura di Gremlins ed E.T. Anche i registi impegnati nella serie seguono il filone dei rimandi ai classici come le inquadrature della sparatoria finale della prima puntata della serie in cui Dave Filoni si diverte a citare il finale del cult movie The Wild Bunch – Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah.
La figura di Baby Yoda è la vera sorpresa della serie, il pubblico si è letteralmente innamorato del bambolotto audioanimatrone usato nel film e sono esplosi in modo virale meme e animazioni prodotte dai fan. Il piccolo alieno senza nome ha conquistato il cuore del pubblico trovando la Disney impreparata rispetto all’impatto e costringendola a correre ai ripari con una produzione di emergenza di gadget mirati al personaggio silenzioso ma immensamente carismatico.
Fra i vari contributi registici che compongono la prima stagione merita due parole la presenza del recente premio Oscar Taika Waititi che compare in più ruoli davanti e dietro la macchina da presa del progetto di Jon Favreau.
Waititi cura la regia dell’ultima puntata, solidamente scritta da Favreau, utilizzando al meglio le risorse disponibili, spingendo su una regia degli attori che risalta rispetto alle puntate precedenti e sulla capacità di giocare con i temi classici della serie in modo piuttosto intrigante. Pur non avendo moltissimo tempo a disposizione nella puntata Waititi ci mostra la differenza fra cinema e televisione con piccoli dettagli di gusto ed una certa capacità di gestire la scena e di saper coniugare la tradizione del franchise Star Wars con una regia fresca e innovativa. Si consiglia la visione di The Mandalorian anche a chi non ha una relazione con la saga di fantascienza ma un certo amore per il cinema di genere di una certa levatura qualitativa.