Il caso Braibanti, la recensione del documentario su Sky

Esistono dei film necessari. Ed esistono autori audaci che fanno uso del mezzo cinematografico per rievocare vicende scomode, che altrimenti rischierebbero di essere occultate dal passare del tempo. Tra questi ci sono Carmen Giardina e Massimiliano Palmese che nel 2020 hanno realizzato Il caso Braibanti (trailer), un documentario – ora disponibile su Sky Arte e Now TV – sulla vita dell’intellettuale Aldo Braibanti.

Maestro di Carmelo Bene e iniziatore dell’avanguardia teatrale italiana, Braibanti è stato un partigiano, un poeta, un drammaturgo, un cineasta e un esperto mirmecologo. Una figura profetica e libera, oggi dimenticata, e nota soprattutto per lo scandalo giudiziario che lo coinvolse alla fine degli anni Sessanta.

Nel 1968 Braibanti venne denunciato per plagio dalla famiglia ultracattolica del suo giovane compagno Giovanni Sanfratello, figlio di un sindaco democristiano vicino agli ambienti dell’estrema destra e promotore di una cultura clericale. Appellandosi al reato di plagio, contemplato nel fascista Codice Rocco e abolito dalla Corte costituzionale solo nel 1981, l’intellettuale venne accusato di aver costretto Sanfratello, allora già maggiorenne e profondamente innamorato di lui, a compiere degli atti omosessuali. Nel pieno delle contestazioni del ‘68, l’Italia, legata a solidi retaggi culturali antiquati, non poteva accettare una relazione omosessuale vissuta alla luce del sole e sfruttò il caso Braibanti per rivendicare la propria posizione ostile rispetto al processo di modernizzazione in atto.  

A nulla servì il supporto di Marco Pannella e dei maggiori intellettuali italiani dell’epoca, tra cui Alberto Moravia, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Dacia Maraini, Dario Bellezza ed Elsa Morante. Definito nel corso del processo “demonio” e “mostro”, lo studioso divenne il capro espiatorio di tutta la politica italiana e fu condannato a nove anni di reclusione. Non spettò una sorte migliore al suo compagno, che venne internato in un manicomio e, con l’assenso della famiglia, torturato con l’elettroshock e trattamenti di coma insulinici. Con un secolo di ritardo, anche l’Italia aveva avuto il suo processo a Oscar Wilde.

Il film documentario – che propone per la prima volta materiale di archivio inediti – viene scandito dalle riprese di uno spettacolo teatrale su Braibanti scritto da Palmese nel 2017, e dalle testimonianze tra i tanti di Ferruccio Braibanti, Piergiorgio Bellocchio, Maria Monti, Lou Castel, Dacia Maraini ed Elio Pecora. L’opera ha il merito di riuscire a riabilitare la figura dell’intellettuale piacentino, e di restituire l’immagine oscura di un’Italia che ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, non ha fatto i conti con quello scandalo e rifiuta di sancire diritti civili necessari.

In un paese che mostra di non avere memoria e che continua a permettere, senza condannarle, intollerabili manifestazioni di regressione, un lavoro come Il caso Braibanti risulta importante perché, citando il poeta Elio Pecora, «Tutto questo accade ancora e nei nostri giorni, quando altre libertà sono in pericolo, tutto questo va ripetuto infinitamente».

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