Elegia Americana, la recensione del film su Netflix

Elegia Americana

Elegia Americana (qui il trailer), tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di J.D. Vance e diretto dal veterano Ron Howard, è un colossale disastro.  La pellicola si dimostra capace di attirare l’attenzione dello spettatore fin dalla prima sequenza, grazie all’eccellente lavoro di fotografia di Maryse Alberti. La vastità degli ambienti rurali dell’Ohio ripresi dall’alto e la particolare nitidezza del verde danno al film una ben definita identità visiva che, purtroppo, svanisce nel nulla durante le sequenze ambientate in città o negli interni. 

Alcune scelte di regia e di montaggio rivelano una certa arguzia (una fra tutte, la carrellata delle foto di famiglia), ma rimangono inevitabilmente in secondo piano per lasciare tutto lo spazio necessario al lavoro del cast e allo sviluppo dei personaggi, una scelta che segna la morte definitiva dell’opera.  

La balorda sceneggiatura di Vanessa Taylor, già nominata al premio Oscar per aver scritto La Forma dell’Acqua, è senza ombra di dubbio il difetto più grave e disprezzabile di Elegia Americana. Come in tutti i peggiori biopic, i personaggi vengono presentati come semplici pedine guidate dalla mano esterna del plot. Ogni singola battuta pronunciata dagli interpreti ammorba costantemente lo spettatore con asfissianti dosi di retorica insopportabile, luoghi comuni e umorismo involontario.

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Il personaggio del già citato J.D. Vance (interpretato con fatica da Gabriel Basso e con molta più energia dal giovane Owen Asztalos), non è nient’altro che una presuntuosa rappresentazione antropomorfa del Sogno Americano. Freida Pinto è sprecata in un ruolo fin troppo marginale, e solo le star (Glenn Close e Amy Adams) portano sullo schermo qualcosa di simile a dei veri personaggi. Le due attrici esercitano un controllo totale sulla loro professione, e riescono con mano maestra a nascondere le loro battute agghiaccianti sotto una spessa coltre di talento. Nonostante ciò, i loro personaggi sono immagini viventi di quegli stessi stereotipi che il film tenta senza successo di sfatare, e la retorica opprimente che costella la pellicola è molto più rumorosa di quanto una grande prova d’attore possa soffocare.  

Elegia Americana è un film disseminato di buone intenzioni e cattive esecuzioni. Le immagini brillano per poi farsi da parte troppo presto, le musiche di uno stanchissimo Hans Zimmer non riescono mai a essere memorabili, la mano abile di Ron Howard lascia troppo spazio alla penna di Vanessa Taylor e a una storia senza capo né coda, trita, banale, inattendibile e lievemente razzista, che condanna la pellicola a essere solo un’altra delle tante favole patriottiche sulla Terra delle Opportunità e che, secondo l’opinione di chi scrive, la dice molto lunga sulla qualità del romanzo originale.

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